Un silenzio profondo, rotto solo dalle parole cariche di dolore e responsabilità del vescovo di Lecce, monsignor Michele Seccia, ha accompagnato i funerali di Luigi Perruccio, Sara Capilunga e Karina Ryzkhov, i tre giovani morti sabato sera a Torchiarolo, in provincia di Brindisi, nell’incidente che ha visto la loro Porsche schiantarsi e prendere fuoco a 250 km/h.
Durante la celebrazione funebre nella chiesa madre del paese, un luogo carico di commozione e sguardi persi nel vuoto, il vescovo ha scelto di non girare intorno alla tragedia, ma di parlare chiaro, soprattutto ai ragazzi.
“Il silenzio oggi è più eloquente delle parole”
“Oggi forse il silenzio diventa molto più eloquente – ha dichiarato monsignor Seccia –. Un silenzio interrogante e responsabilizzante. Le tragedie non capitano per caso. Oggi è il giorno della speranza. Mi rivolgo soprattutto ai giovani appena patentati, che possono lanciarsi in imprudenze: pensate non una, ma dieci, cento volte prima di agire, per non stare a piangere dopo come oggi”.
Parole intense, dirette, pronunciate davanti a una comunità distrutta e a genitori che hanno dovuto dire addio ai propri figli nel fiore degli anni. Il vescovo ha voluto assumere il ruolo di guida affettiva e morale, senza impartire lezioni, ma con l’autorevolezza di chi si sente parte della sofferenza collettiva: “Non posso fare da maestro – ha aggiunto – ma da padre sì. Può capitare, si dice, ma molte volte ce le cerchiamo le cose”.
Una ferita che non passerà
Nel suo discorso, monsignor Seccia ha sottolineato che non sarà facile lenire una ferita così profonda: “Ci sarà bisogno di tempo, perché questa ferita indimenticabile possa essere lenita. Non sono cose che si dimenticano, perché non sono esperienze che passano come tante situazioni”.
Parole che lasciano un segno, proprio come l’assurdità di una tragedia che ha spezzato tre vite in un attimo. Un appello, quello del vescovo, che si spera possa trasformarsi in consapevolezza, perché da un dolore così lacerante possa nascere almeno un messaggio: la vita va custodita con responsabilità, prima ancora che con libertà.