Doveva essere il giorno della sentenza, è diventato invece quello dell’ennesimo rinvio. La Corte del Tribunale di Foggia, entrata in camera di consiglio per decidere la sorte giudiziaria di Giovanni Putignano, 47 anni, imputato per estorsione e tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso, ha scelto di riaprire l’istruttoria. I giudici hanno disposto un nuovo interrogatorio della vittima, l’imprenditore Lazzaro D’Auria, per fare piena luce sul riconoscimento dell’imputato, ritenuto contiguo alla “Società foggiana”.
La prossima udienza si terrà tra due mesi. L’interrogatorio bis sarà limitato al solo tema del riconoscimento visivo: Putignano è stato identificato da D’Auria soltanto in un secondo momento, mesi dopo l’agguato, e solo dopo aver visto una fotografia pubblicata su un sito di notizie, che mostrava l’uomo con gli occhi mascherati, in un servizio relativo a un arresto per armi avvenuto a Torremaggiore nell’agosto 2017.
Il nodo del riconoscimento
L’episodio al centro del processo risale al luglio 2017, quando una decina di uomini, tra cui i boss Rocco Moretti detto “il porco” e Giuseppe Vincenzo La Piccirella alias “il professore” o “il ragioniere”, raggiunsero D’Auria nei campi di Apricena per avanzare richieste estorsive. Secondo il racconto dell’imprenditore, Moretti pretendeva tra i 150 e i 200mila euro, mentre La Piccirella parlava di un “canone” da 150mila euro l’anno “perché nessuno ti ha mai rotto le scatole”. Tra i presenti ci sarebbe stato anche Putignano, descritto da D’Auria come “quello con il cappellino bianco e gli occhiali scuri” che gli disse: “Ricordati che io ti conosco bene”.
Ma proprio su quest’ultima identificazione si concentra il principale punto debole dell’accusa. La difesa contesta la validità del riconoscimento: D’Auria, hanno ricordato, non citò Putignano né nel primo verbale né quando gli fu mostrata dai carabinieri una fotografia dell’imputato a volto scoperto. Solo nell’aprile 2018, leggendo un articolo con foto in parte oscurate, sostenne di aver avuto “un lampo” e riconobbe in Putignano uno degli uomini che lo avevano minacciato.
La Corte ha quindi disposto l’acquisizione del verbale in cui D’Auria non riconobbe Putignano, della foto pubblicata nel 2017, e il confronto tra quest’ultima e quella a volto scoperto. Un approfondimento che potrebbe rivelarsi decisivo per l’esito del processo.
Il processo e i boss già condannati
L’inchiesta, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Lecce e condotta dai carabinieri, contava inizialmente otto imputati. Uno è stato prosciolto, uno assolto, mentre cinque – tra cui Moretti e La Piccirella – sono stati già condannati in via definitiva con rito abbreviato: 4 anni e 8 mesi per il primo, 3 anni, 6 mesi e 20 giorni per il secondo.
Secondo l’accusa, Putignano avrebbe preso parte anche ad altre intimidazioni tra il 2015 e il 2017, tra cui l’imposizione di un’assunzione pilotata e la richiesta di denaro per rinunciare all’acquisto di terreni comunali a Borgo Incoronata. Il pm della Dda Federico Perrone Capano ha chiesto per lui una condanna a 7 anni di reclusione. Parte civile, oltre a D’Auria, anche la Federazione antiracket.
D’Auria, imprenditore agricolo campano con aziende nel Foggiano, è da anni simbolo della ribellione al racket. Da oltre dieci anni vive sotto scorta, minacciato dalla mafia per essersi opposto a ogni forma di pagamento o compromesso.
Ora, dopo sei anni di processo, tutto è di nuovo sospeso in attesa dell’interrogatorio decisivo.