Il 14 marzo 1998, in un piccolo paese della provincia di Foggia, il tempo si è fermato.
Aveva diciott’anni Nadia Roccia, studentessa modello dell’Istituto Magistrale “Poerio” di Foggia. Sognava l’università, la letteratura, un futuro semplice e luminoso. Ma quel futuro fu spezzato da chi le era più vicino.
Le sue due migliori amiche, Anna Maria Botticelli e Maria Filomena Sica, la invitarono per una sessione di studio in un garage. Alle 18:45, il silenzio di Castelluccio dei Sauri fu infranto da un gesto di una crudeltà inspiegabile. Nadia fu strangolata con una sciarpa. Mentre Sica stringeva, Botticelli la incitava a non fermarsi.
Poi la messa in scena. Una corda, una finta lettera d’addio, l’illusione di un suicidio per amore. Ma le incongruenze erano evidenti. L’autopsia parlò chiaro. Nadia non si era impiccata. Era stata uccisa.
Gli inquirenti scoprirono nella vita delle due ragazze un lato oscuro: interessi per il satanismo, tentativi di depistaggio, una freddezza agghiacciante durante la confessione. Ma il movente? Gelosia, disagio mentale, influenze esoteriche? Nessuno ha mai potuto rispondere davvero.
Nel 1999 arrivò l’ergastolo. Poi le perizie psichiatriche. Il disturbo dissociativo, le attenuanti, la confessione. Le condanne vennero ridotte a 21 anni. La giustizia fece il suo corso. E con il tempo, Botticelli e Sica tornarono alla libertà. Oggi vivono sotto altra identità, in Toscana e in Veneto.
Ma Nadia non è tornata.
E la sua assenza è rimasta lì, nel cuore di una comunità che da 27 anni si interroga sul perché.
Nel silenzio delle aule, tra le strade di un paese che non l’ha mai dimenticata.
Perché certe amicizie, certe storie, certe ferite, non si rimarginano mai davvero.
Nadia Roccia aveva 18 anni.
E la sua voce oggi la raccontiamo noi.