Dopo oltre cinque anni di indagini, rinvii a giudizio e battaglie legali, la vicenda del presunto assenteismo al Consorzio per la Bonifica di Capitanata si chiude senza colpevoli. È infatti scattata la prescrizione per i dieci dipendenti dell’ente finiti sotto accusa, lasciando un senso di profondo rammarico in chi, per primo, aveva denunciato il caso.
A parlare oggi è Michele Angelo Ciavarella, figlio di Matteo Pio Ciavarella, all’epoca dei fatti custode dell’impianto di Palude Lauro e principale testimone della vicenda. Fu proprio grazie alle sue segnalazioni che nel 2016 si aprì l’inchiesta, sfociata nel 2019 nel rinvio a giudizio di dieci lavoratori accusati di assenteismo. Ma da allora, nessun passo avanti: tra rinvii, tempi dilatati e inerzia, si è arrivati alla morte giudiziaria del procedimento.
“Una grande amarezza – dice Michele Angelo –. Mio padre ha pagato un prezzo altissimo per aver fatto il suo dovere. Avevamo creduto nella giustizia, ci siamo affidati allo Stato, ai giornali, alla tv. Ma alla fine nessuno ha pagato. E ora, con la prescrizione, il messaggio che passa è devastante”.
Una ferita mai chiusa
La vicenda aveva suscitato ampio clamore mediatico, finendo anche sotto i riflettori di alcune trasmissioni televisive nazionali che avevano raccontato la storia di un custode coraggioso, deciso a denunciare ciò che riteneva essere un sistema di abusi interni. Ma la lunga attesa, le udienze mai celebrate, i procedimenti impantanati, hanno finito per svuotare di senso il percorso giudiziario, che ora si conclude senza una sentenza, senza verità, senza giustizia.
“Non cercavamo vendetta, ma giustizia e trasparenza – aggiunge Ciavarella –. Abbiamo creduto nel valore dell’onestà, ma ora ci ritroviamo con una ferita profonda e con una famiglia che ha subito anni di isolamento, tensioni e sofferenze per nulla”.
Un caso simbolo finito nel silenzio
Il caso, che avrebbe potuto diventare un simbolo di legalità e responsabilità civile, si è dunque chiuso in uno dei modi più amari: nel silenzio di una prescrizione, che spegne ogni possibilità di accertamento giudiziario. Per la famiglia Ciavarella è una sconfitta della giustizia e delle istituzioni.
“Mio padre ha fatto ciò che era giusto – conclude Michele Angelo –. Ora ci chiediamo se ne sia valsa davvero la pena. Ma nonostante tutto, rifaremmo tutto da capo. Perché la verità non si prescrive”.
Un epilogo che lascia dietro di sé delusione, amarezza e un senso di solitudine. E che solleva, ancora una volta, interrogativi su tempi e limiti della giustizia in Italia.