“Abitavo al quinto piano. Ho trascorso quatto ore sotto le macerie”. Così Salvatore Taronna, uno dei sopravvissuti di viale Giotto, intervistato dal Corriere del Mezzogiorno. L’uomo ha ricordato quei drammatici momenti di 25 anni fa a Foggia, quando l’edificio dove abitava si sgretolò provocando 67 morti. Era la notte tra il 10 e l’11 novembre 1999. Vennero rinvenuti 62 corpi, 5 dispersi, 5 per loro fortuna assenti quella notte, 9, tra cui Taronna, estratti vivi dalle macerie.
“Ho poggiato la mano destra sulla scrivania. Poco dopo non l’ho più sentita, la scrivania è andata giù. Uno o due secondi, sono andato giù anch’io”. Quella notte Taronna si svegliò perché sentiva i genitori parlare animatamente, preoccupati da alcuni rumori di calcinacci. In pochi attimi finirono giù. “La mano destra era rimasta libera, potevo toccare un pilastro sopra la mia testa. Aveva creato una bolla di sicurezza, una cuccia in mezzo all’inferno – ha ricordato al Corriere -. Ero piegato in due, con le gambe indietro. Sentivo molto dolore. I soccorritori cercavano di farmi parlare, di distrarmi. Fino a quando non ho visto un raggio di luce, accecante. Erano arrivati a me, ero vivo. Quando hanno estratto me, ho pensato che i miei parenti fossero nelle vicinanze e potessero avercela fatta anche loro”. Soltanto in ospedale scoprì di essere rimasto solo al mondo. “Chiedevo spesso di mio padre, mia madre e mia sorella. Mi rispondevano sempre in modo vago, poi venne a dirmelo mia zia. Fece uscire tutti e mi disse che ero rimasto solo al mondo”.
Il Corriere ha ricordato che l’inchiesta sul crollo accertò che il palazzo era “nato già morto”, ovvero costruito con materiali scadenti, sulla base di un progetto errato e con calcoli statici totalmente sballati. Gli unici imputabili, il costruttore Antonio Delli Carri, il progettista Mario Inglese e il collaudatore Antonio Rubano erano già deceduti, il costruttore addirittura insieme agli altri inquilini. Viveva insieme a loro. Qui l’intervista integrale