“L’inferno è qui. Paesi travolti come da uno tsunami.” Le parole di Alessandro Fiore, foggiano trapiantato a Valencia, dipingono un quadro apocalittico di una città sommersa dal fango e dalla disperazione. La Gazzetta del Mezzogiorno nell’edizione di oggi ha raccolto la sua testimonianza. “Mi sembrava di essere in un film”, continua, “ma purtroppo è la cruda realtà”.
La Spagna è sotto shock. Una delle più grandi catastrofi naturali degli ultimi decenni ha colpito la regione di Valencia, lasciandosi dietro un bilancio straziante: oltre duecento morti, migliaia di dispersi e una città paralizzata.
Fiore, intermediario finanziario di professione e deejay per passione, si trova in prima linea tra i volontari che stanno lavorando senza sosta per salvare vite e riportare un po’ di speranza. “Scaviamo con tutto quello che abbiamo, anche a mani nude. Ore e ore sotto il sole, poi al buio, perché l’elettricità manca quasi ovunque. Ma non ci fermiamo, perché c’è bisogno di noi”.
La sua testimonianza è un grido d’allarme che ci arriva direttamente dal cuore del disastro. Un racconto di una comunità messa a dura prova, ma che non si arrende. “I primi giorni è stato un caos”, racconta Fiore. “Nessuna organizzazione, solo noi volontari a scavare tra le macerie. Ma poi la gente si è unita, si è creata una rete di solidarietà incredibile”.
Valenciani, italiani, sudamericani: un esercito di persone che si sono rimboccate le maniche per aiutare il prossimo. “Entriamo nelle case distrutte e troviamo anziani che nonostante tutto ci offrono un caffè, un pezzo di pane. È un gesto così semplice, ma che ti dà una forza incredibile”.
Fiore ci racconta di un’esperienza che lo ha segnato profondamente, di un’umanità che emerge nei momenti più bui. E ci ricorda che anche di fronte alla tragedia, la speranza può rinascere. “Il popolo aiuta il popolo”, è lo slogan che riecheggia tra le strade di Valencia. Un messaggio che ci invita a non dimenticare chi sta soffrendo e a fare la nostra parte, anche da lontano.