Sono ormai passati sette anni, ma il ricordo della strage di San Marco in Lamis non tramonta mai. L’antimafia, guidata dall’associazione “Libera”, si riunisce ogni 9 agosto nel luogo del quadruplice omicidio, nei pressi della vecchia stazione sammarchese. Lì è posizionato un monumento in ricordo dei contadini Aurelio e Luigi Luciani, uccisi forse perché testimoni involontari dell’agguato o per un terribile scambio di persona. Obiettivo del commando, formato da tre killer, il boss di Manfredonia, Mario Luciano Romito, ammazzato insieme al cognato Matteo De Palma, quest’ultimo alla guida di un maggiolone nero. Poco distanti i Luciani a bordo di un Fiorino.
I fratelli agricoltori sono ritenuti dagli inquirenti testimoni involontari della mattanza, va però ricordato che un pentito ha fornito una versione diversa dei fatti (leggi qui) spiegando che i Luciani avrebbero custodito le armi a Romito e quindi non sarebbero stati uccisi per errore o altro.
Nel frattempo proseguono le indagini sulla strage, un fatto di cronaca che accese finalmente i riflettori dello Stato sulla provincia di Foggia, stritolata da una mafia cruenta e spietata, capace di infiltrarsi nell’economia e condizionare la politica.
Nel 2018 fu arrestato Giovanni Caterino, 44enne di Manfredonia detto “Giuann Popò”, poi condannato in via definitiva all’ergastolo. Per i giudici fu lui il basista della strage. L’uomo avrebbe studiato i movimenti di Romito e fatto largo agli assassini in quella mattinata di sangue di sette anni fa.
Caterino era un fedelissimo del clan dei montanari Li Bergolis-Miucci-Lombardone, grande rivale del gruppo di Mario Luciano Romito, oggi ribattezzato clan Lombardi-Scirpoli-Raduano, desideroso di vendicare il tradimento di “Orti Frenti” del 2 dicembre 2003, quando alcune cimici piazzate in una masseria incastrarono i fratelli Li Bergolis, capi dell’organizzazione.
Durante il processo a Caterino, il testimone Carlo Magno rivelò che uno dei killer della strage sarebbe stato Saverio Tucci detto “Faccia d’Angelo”, noto narcotrafficante affiliato ai montanari. Quest’ultimo glielo avrebbe confidato personalmente. Tucci, però, venne ucciso nell’ottobre del 2017 ad Amsterdam proprio da Magno dopo un affare di droga andato male.
Inevitabile che le attenzioni degli inquirenti si concentrino soprattutto sui montanari desiderosi di eliminare Romito da almeno un ventennio. Il boss manfredoniano era uscito dal carcere da pochissimi giorni e, probabilmente, era intenzionato a rientrare nella scena criminale, circostanza forse poco gradita anche ad alcuni dei suoi più stretti alleati. Ed infatti non è da escludere che qualcuno possa averlo tradito in combutta con i Li Bergolis.
Il presunto ruolo di Miucci
Oggi il reggente dei Li Bergolis è Enzo Miucci, 41enne di Monte Sant’Angelo detto “U’ Criatur” di cui Caterino era un fedele adepto. Stando alle rivelazioni di un collaboratore di giustizia, il boss avrebbe avuto un ruolo nella strage.
“Vi è prova certa – si legge in un’ordinanza cautelare relativa a Miucci – che Caterino, appartenente al gruppo Li Bergolis, prese parte al quadruplice omicidio in qualità di ‘bacchetta’, ritirò insieme a Tommaso Tomaiuolo, altro esponente dei Li Bergolis, tre giorni prima, la vettura Ford C-Max utilizzata dai killer per compiere l’azione delittuosa, e che altri esponenti del clan Li Bergolis, tra cui il capo Enzo Miucci, parteciparono all’eccidio, secondo quanto propalato dal collaboratore di giustizia Andrea Quitadamo che apprese tali notizie in carcere dal predetto Tomaiuolo, il quale non fece alcun cenno al coinvolgimento nell’agguato di esponenti esterni al clan di sua appartenenza”.
A parere degli inquirenti “gli fece intendere che quel giorno della strage erano presenti anche altri sodali del clan Li Bergolis tra cui il viestano Girolamo Perna ed R.P. (probabilmente un tale “Roberto della montagna”) oltre a Enzo Miucci”.
Gli squilli di “Lombardone”
C’è poi il caso che coinvolge Matteo Lombardi detto “Lombardone”, 62enne pregiudicato, parente dei Li Bergolis. Lombardi scontò 14 anni di carcere per omicidio proprio in seguito al “tradimento di Orti Frenti” ma l’uomo, intervistato da Daniele Piervincenzi in “Mappe Criminali” su Sky, parlò di Mario Luciano Romito come di “un fratello”.
La mattina della strage, “Lombardone” contattò insistentemente Angelo Tarantino, un uomo di San Nicandro Garganico già noto agli inquirenti. Dalle carte dell’inchiesta sulla strage risultano numerosi squilli da parte di “Lombardone”, tutti senza risposta. Tarantino era stato visto spesso in compagnia di Caterino nei giorni precedenti all’agguato, ma non è tutto. Il sannicandrese era solito frequentare la masseria della zia, una struttura verso la quale fuggirono i killer subito dopo il quadruplice omicidio. Lo stesso Caterino venne ripreso dalle telecamere insieme a Tarantino nei pressi di quella struttura.
Le parole del pentito Villani
Della strage ne ha parlato anche Patrizio Villani, ex killer della mafia foggiana, originario proprio di San Marco in Lamis, oggi collaboratore di giustizia. Su questa vicenda Villani non avrebbe informazioni dirette ma una sua idea personale: “Quello che ho appreso, l’ho appreso dai notiziari perché io stavo in carcere. Una cosa sola, un pensiero mio è quello che lì hanno sbagliato proprio quando… che i due pastori… io li conoscevo anche, perché sono di San Marco. La notte quelli andavano a lavorare, si rompevano la schiena di lavoro ed andavano a vendere quello che raccoglievano. Lì non è stato uno che conosceva. Lì sicuramente è stato detto: ‘Se vedete quello col Fiorino sparate anche a quello col Fiorino’, perché personaggi come Renzo Miucci (reggente del clan Li Bergolis, ndr) o come qualcun altro di questo calibro qua, a Gino Ferro lo conosce. Ferro aveva un pickup uguale a quello”.
La sentenza “Omnia Nostra”
Anche la recente sentenza del processo “Omnia Nostra” contro il clan Lombardi-Scirpoli-Raduano tocca i temi della strage. Un passaggio balza agli occhi e riguarda Miucci: si legge che il boss chiese a Girolamo Perna detto “Peppa Pig”, suo alleato viestano ucciso nel 2019, notizie circa il rinvenimento di guanti e passamontagna a bordo di una non meglio specificata auto.
Miucci avrebbe palesato “una certa preoccupazione – si legge – sicuramente riferibile al pericolo di ulteriori azioni omicidiarie nella guerra tra clan: ‘Che faceva quella macchina quella sera con guanti e cappucci’… Come noto – evidenziò la giudice Valenzi -, il 9 agosto 2017 veniva assassinato Mario Luciano Romito, insieme a suo cognato Matteo De Palma e ai fratelli Luciani. Già dal giorno prima, Miucci non ha più utilizzato l’utenza monitorata risultando quindi irrintracciabile fino al giorno del suo arresto (avvenuto il 23 agosto 2017 a Monte Sant’Angelo). L’ultimo messaggio risale infatti all’8 agosto 2017 alle ore 12:52″.