Nel transitare sulle banchine del porto di Manfredonia mentre la flotta peschereccia era intenta ad approntare gli ultimi preparativi prima di salpare per la settimana lavorativa, i carabinieri della locale Sezione navale notarono alcuni tubi attaccati ai tombini dell’acqua del mercato ittico collegati ad una imbarcazione. Da qui venne sviluppata l’ipotesi accusatoria che fosse in atto un furto di acqua aggravato su un bene esposto per necessità e destinazione a pubblica fede e destinato a pubblico servizio ed utilità. Anzi per i militari operanti non fu solo tale nave da pesca a commettere gli illeciti bensì la quasi totalità delle imbarcazioni presenti.
I difensori degli imputati, gli avvocati Pierpaolo Fischetti e Michele Guerra, hanno invece dimostrato il contrario e fatto emergere la reale situazione in cui opera la marineria di Manfredonia: l’assenza cronica di servizi per gli equipaggi e la storica incapacità ad approntare forniture essenziali per svolgere l’attività di pesca.
Difatti, aggiungono i legali: “Nessun accertamento, neppure il più elementare, è stato svolto dalla polizia giudiziaria volto esso a comprendere se era davvero in atto l’erogazione ipotizzata e chi effettivamente pagasse la fornitura in parola per le imbarcazioni ivi presenti, né tantomeno se determinate barche per le loro capacità e ampiezza fossero state in grado di poter quantomeno prevedere una distribuzione idonea a produrre ghiaccio. Addirittura, in questo infelice episodio giudiziale, è stato implicato un soggetto che – ed era notorio perché i carabinieri avevano parlato nella contingenza al telefono con la figlia – neppure era in città il giorno in contestazione bensì lontano ad accudire la moglie gravemente malata”.