“Ho deciso di collaborare con la giustizia per dare un futuro migliore ai miei figli e per delle controversie con Antonello Francavilla che potevano portare all’eliminazione fisica mia o sua”. Così Giuseppe Francavilla alias “Pino Capellone”, 46 anni, ha motivato la sua decisione di mettere fine alla carriera criminale nella mafia foggiana. Per almeno un ventennio è stato esponente di spicco del clan Sinesi-Francavilla, al vertice dell’organizzazione insieme al boss Roberto Sinesi, al figlio Francesco Sinesi e ai cugini Antonello ed Emiliano Francavilla. Proprio con Antonello sarebbero sorti i contrasti che lo avrebbero indotto a collaborare con la giustizia.
“La controversia con mio cugino è nata da una dichiarazione di Patrizio Villani (ex killer garganico dei Sinesi, oggi pentito di mafia, ndr) che ha detto che io volevo ammazzare Francesco Sinesi”. Quest’ultimo è cognato di Antonello Francavilla, fratello della moglie del boss.
“Per questo motivo tra me e mio cugino Antonello sono sorte delle tensioni, dato che Antonello era il cognato. Sono certo che Francesco Sinesi sa che io non lo volevo uccidere. Ho saputo che Antonello mi voleva uccidere da mia madre durante un colloquio“.
Le dichiarazioni di “Pino Capellone” sono confluite nella recente inchiesta sul tentato omicidio del 17 ottobre 2015 di Vito Bruno Lanza detto “U’ Lepre” del clan Moretti-Pellegrino-Lanza per cui sono stati arrestati Roberto Sinesi alias “Lo zio”, accusato di essere stato il mandante e Sergio Ragno, sospettato di aver fatto da autista agli esecutori materiali Ciro Spinelli e Luigi Biscotti, entrambi già condannati in via definitiva. Francavilla, così come altri collaboratori di giustizia, ha confermato che fu Sinesi a ordinare l’agguato.
“La manifestazione della volontà di collaborare con la giustizia – riportano gli inquirenti – è intervenuta poco dopo la definitività della sentenza ‘Decima Azione’ con cui il Francavilla, unitamente a diversi esponenti della batteria Sinesi-Francavilla (tra cui Roberto Sinesi), è stato condannato, in via definitiva, per il delitto ex art 416 bis c.p.. La scelta di collaborare, quindi, appare scevra da intenti utilitaristici e risulta correlata all’esigenza di salvaguardare la propria incolumità e quella dei propri familiari. Si tratta peraltro di un componente apicale della batteria Sinesi-Francavilla, della quale sia lui che l’accusato Roberto Sinesi, anch’esso con posizione apicale, fanno parte. Il Francavilla annovera infatti una ventennale militanza in seno alla Società Foggiana, motivo per cui le sue dichiarazioni assumono particolare importanza”.
A parere degli inquirenti “l’attendibilità intrinseca” di Francavilla risulta quindi “validata, in primo luogo, dalla posizione rivestita nell’ambito della criminalità organizzata e dai suoi rapporti privilegiati con Sinesi. Le dichiarazioni hanno peraltro avuto uno sviluppo costante e coerente anche con quella che era la sua posizione in seno alla criminalità organizzata: tenuto conto delle possibili ripercussioni scaturenti da un eventuale omicidio del Lanza, ne è stato informato prima che avvenisse. Qualche mese dopo ha inoltre svolto, con riferimento alla vicenda in commento, funzioni di ‘paciere’ tra le due consorterie (“Diciamo che io ero bene o male il tramite con i Moretti, va’! diciamo”)”. Per gli inquirenti si tratta di un “compito molto significativo, volto a comporre i contrasti con l’opposta consorteria e ad evitare il reciproco sterminio”.
Sull’agguato a Lanza è stato interpellato anche l’ex morettiano Carlo Verderosa, oggi collaboratore di giustizia: “Ho saputo che era partito tutto da Mario Piscopia per il problema che sentiva le cose nel clan nostro e le portava a Roberto Sinesi, gli rapportava, e Roberto Sinesi fece sparare a Vito Bruno Lanza… l’ho saputo quando sono uscito che ci siamo riuniti per vedere quello che si doveva fare”. Il riferimento è all’agguato a Piscopia, sospettato di fare il doppio gioco. L’uomo sfuggì ad un attentato il 13 settembre 2015, circa un mese prima del tentato omicidio di Lanza.
Le rivelazioni dei recenti pentiti stanno sconquassando il castello della mafia foggiana. Negli ultimi 5 anni hanno iniziato a collaborare con la giustizia numerosi esponenti della criminalità organizzata del capoluogo ma anche di altre zone della provincia di Foggia. I boss tremano.