Un recente studio dell’Università Federico II di Napoli ha riacceso i riflettori sul tempo medio necessario per raggiungere una stazione ad alta velocità provincia per provincia in Italia. Ancora una volta il Paese è diviso in due, con il Nord ricco di connessioni rapide e il Sud isolato, tagliato fuori. In Capitanata, dove solo lo scorso novembre si è dato il via alla realizzazione della seconda stazione foggiana, che sarà una stazione di Alta Velocità, occorrono oggi circa 2 ore per raggiungere un nodo ferroviario di primo livello.
Si fa un gran parlare dell’Alta Velocità su ferro, ma come dimostrano studi e rapporti, le connessioni rapide al Sud, fatta eccezione per l’area di Napoli, sono ancora un miraggio.
Da tempo si occupa di queste questioni il consigliere comunale meridionalista Pasquale Cataneo, esperto trasportista e dirigente Trenitalia. Lo abbiamo intervistato.
Cataneo, sul fronte della logistica quale futuro attende la Puglia?
La capacità di completare la rete dei trasporti e la costruzione di una compagine logistica, integrata, sostenibile e adeguata a supportare le singole filiere produttive, per una regione come la Puglia, è elemento essenziale per garantire a questa regione, oserei dire, anche in questo campo il ruolo di “locomotiva del Sud”.
Tale connotato risulta ancor più vitale per l’economia regionale in quanto la presenza di infrastrutture puntuali, esistenti e in via di realizzazione, come le stazioni ferroviarie, i porti, gli aeroporti, interporti e retroporti, piattaforme logistiche e aree di sviluppo industriale, opportunamente innovate e interconnesse tra loro con le reti stradali e ferroviarie, attrezzate con adeguati servizi e flussi digitali ed energetici, tecnologicamente avanzate e sicure, può concretamente consolidare e sviluppare ulteriormente lo sviluppo e la crescita di PIL e occupazione in tutto il territorio pugliese e contribuire a quello dell’intero Mezzogiorno e, con esso, all’intero sistema Paese e alla UE. Ciò in quanto l’Italia è lo stato membro nella UE con il maggior divario interno socioeconomico tra aree territoriali.
Essere terra di frontiera verso i Balcani e parte terminale del Corridoio multimodale Baltico-Adriatico e crocevia nella rete TEN-T, attraverso il nodo urbano e polo di trasporto di Foggia, di due Corridoi con l’intersezione trasversale dell’altro Corridoio multimodale Scandinavo-Mediterraneo può rappresentare davvero uno degli ambiti di maggior espansione economica dal punto di vista squisitamente logistico ma anche di incremento di competitività di tutte le filiere produttive a partire dall’agroalimentare e per finire a quella turistica.
Si può e si deve far crescere, e di tanto, questo settore trasversale e, sempre più, fondamentale a tutti gli ambiti produttivi. E’ essenziale ed ineludibile il passaggio da una visione singola ad una collettiva, da una prospettiva monomodale ad una plurimodale, da una programmazione di trasporto a comparti stagni ad una sistemica, integrata e sostenibile dal punto di vista economico e ambientale.
Quali i pregi e quali i difetti dell’Alta Velocità?
È ben noto che quei territori attraversati dalla linea ferroviaria ad alta velocità abbiano almeno 6-7 punti percentuali di PIL in più rispetto a chi non è attraversato o molto distante ad una stazione AV. La maggiore o minore accessibilità alla rete AV è uno dei divari territoriali che hanno contribuito ad incrementare, in questi ultimi due decenni, la distanza socioeconomica tra il Mezzogiorno e il resto del Paese. Come puntualmente illustrato dall’Istat in un suo focus molto preciso “I DIVARI TERRITORIALI NEL PNRR: DIECI OBIETTIVI PER IL MEZZOGIORNO”, pubblicato circa un anno fa, e molto utile nel dibattito e nelle politiche per lo sviluppo e la coesione sociale, tra i dieci obiettivi per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ne poneva proprio uno sui gap del Mezzogiorno nella dotazione quantitativa e qualitativa della rete ferroviaria. In particolare proprio per quella AV.
In tale documento si è posto in evidenza che la densità della rete ferroviaria nel Mezzogiorno è nettamente più bassa, soprattutto nell’alta velocità: 150 metri ogni 100 Km2 di superficie; 800 metri al Nord (5,5 volte quella del Sud); 560 metri al Centro (circa 4 volte quella del Sud). Negli ultimi decenni l’ampliamento al Sud è stato molto modesto (+0,3% contro +7,1% del Centro-Nord) mentre è aumentato il gap qualitativo (58,2% di rete elettrificata; 79,3% del Centro-Nord).
Risulta pertanto altrettanto innegabile rispetto al pregio rilevante rappresentato dalla rete e dai servizi ferroviari ad alta velocità laddove realizzati e in esercizio, il divario allargatosi a quantitativamente che e qualitativamente, tra Mezzogiorno e resto del Paese.
Come attestato dall’Istat, e da altri livelli di rappresentanza economica (Bankitalia in primis) e associativa (Svimez, Eurispes, ecc.), tra i difetti emerge in modo rilevante e di conoscenza diffusa che entrambi i gap qualitativi e quantitativi nel settore delle infrastrutture, e in particolare della rete ferroviaria e dei sistemi correlati, sono stati ampliati ESCLUSIVAMENTE con l’utilizzo sperequato di risorse pubbliche.
Ecco alcuni “difetti” dell’Alta Velocità in questi primi venti anni in Italia: come si affermava prima sperequazione evidente nell’utilizzo delle risorse pubbliche, minori investimenti pubblici anche negli impianti di rete e di manutenzione ferroviari, quindi minore occupazione al Sud e, nel contempo, maggiori costi e minori servizi a parità di distanze chilometriche percorse tra cittadini e imprese del Mezzogiorno e quelli del resto del Paese, quindi minore accessibilità, coesione e attrattività territoriale. A ciò si aggiunge, per la minore presenza e qualità tecnologica per km2 di superficie della restante rete ferroviaria anche la minore competitività dei sistemi produttivi meridionali in quanto gravati dai maggiori costi di trasporto e logistica, oltre che energetici, per far giungere i propri prodotti nei mercati nazionali ed esteri.
In Spagna, invece, l’impatto e la modalità di investimenti, in particolare, nella realizzazione della rete ad Alta Velocità ferroviaria ha avuto un’impostazione esattamente inversa. E’ stata impiantata per riequilibrare i divari territoriali avvicinando le regioni più periferiche al centro, riducendo i tempi e la qualità degli spostamenti a partire dal sud e, con una maggiore velocità commerciale, anche le distanze, come si legge in uno studio preparato dalla società di ingegneria e consulenza Ineco, recentemente ripreso dal sito Ferpress, in cui si affronta l’efficienza del modello spagnolo dell’alta velocità.
Su tale rivista specializzata viene confermato che la Spagna, a differenza di altri paesi UE tra cui l’Italia, è riuscita a sviluppare la rete ad alta velocità più estesa dell’UE con il costo medio di costruzione più basso di 17,7 milioni di euro per chilometro contro i 45,5 milioni di euro del resto dei paesi. Lo studio amplia -come conferma Ferpress – inoltre la prospettiva tradizionale della costruzione per coprire l’intero ciclo di vita dell’infrastruttura e includere i costi di esercizio e manutenzione che, anche se in misura minore, rafforzano la posizione di leadership del modello spagnolo.
E lo ha fatto con parametri progettuali e qualitativi elevatissimi, all’avanguardia nel settore, in tempi relativamente rapidi e senza grossi scostamenti di budget. Questa è la principale affermazione contenuta nel nuovo rapporto Efficienza del settore spagnolo nello sviluppo dell’alta velocità.
Quali sono gli obiettivi che dovrebbe porsi il Mezzogiorno per mettersi al centro del sistema dei trasporti?
A mio modesto avviso in primo luogo dovrebbe essere il sistema paese Italia e, di conseguenza anche la Unione europea, a comprendere la rinnovata importanza geopolitica, trasportistica e in ambito logistico, sia dal punto di vista della sostenibilità ambientale che economica, del Mezzogiorno ed anche del resto della penisola italiana come piattaforma logistica naturale come miglior punto d’approdo e smistamento intermodale per le merci che transitano via mare dal canale di Suez, in arrivo e in partenza, per e dalla UE.
Ci sono indagini dal punto di vista economico, ultra ventennali, effettuati da Bankitalia nel settore del trasporti internazionali di merci (ma anche postali e passeggeri) che, scarsamente considerati dai policy makers autoctoni a livello nazionale che hanno visto crescere, senza interventi efficaci finora, l’incidenza dei costi di trasporto sul valore delle merci esportate e importate dall’Italia. Nell’ultimo studio al riguardo tale influenza è salita per il terzo anno consecutivo, rispettivamente al 3,5 e 5,0 per cento.
Nel documento pubblicato a giugno dello scorso anno e relativo al 2022 si riscontra che il deficit nella bilancia dei trasporti mercantili ha toccato un nuovo picco. Date le basse quote di mercato detenute dai vettori italiani, la bilancia dei trasporti mercantili presenta un deficit strutturale che tra il 2002 e il 2019 si è generalmente collocato tra i 3 e i 6 miliardi di euro all’anno, con oscillazioni legate al ciclo economico internazionale.
Anche a causa del forte rincaro dei noli il disavanzo aveva già nel 2021 oltrepassato la soglia dei 10 miliardi, per toccare lo scorso anno un nuovo picco, come riportato nella tabella 12 dell’Indagine Bankitalia, il più ampio da almeno quarant’anni (14,4 miliardi, pari allo 0,8 per cento del PIL che supera i 17 mld€ se si aggiungono anche i gap nei settori postale e passeggeri e quindi superando l’1 per cento del PIL).
È di tutta evidenza come la maggiore e immediata attenzione politica, economica e sociale a questo settore ponendo molta più attenzione al sistema integrato dei trasporti e della logistica a partire dai porti meridionali, attraverso completamento e l’estensione dei due Corridoi multimodali (Scandinavo-Mediterraneo e Baltico-Adriatico) e la connessione intermodale al resto della rete TEN-T dell’Unione Europea, può contribuire a riequilibrare il PIL e l’occupazione in questo settore vitale e fondamentale per sé stesso e per tutti gli ambiti produttivi del Mezzogiorno, unitamente a quelli del resto del Paese.
Pertanto le otto regioni meridionali e con esse lo stato e l’intero sistema Paese dovrebbero puntare al rafforzamento di questa visione strategica geopolitica che vede il Mediterraneo, ancora e di più rispetto al passato, fondamentale non solo per la cd. “via della seta” marittima e quindi logistico, ma anche dal punto di vista energetico. Risulta essere pertanto essenziale il completamento della rete TEN-T nel Mezzogiorno con i due Corridoi multimodali sul Tirreno e sull’Adriatico, a partire dai nodi della la rete ferroviaria (stazioni) e stradale (caselli) e le connessioni del cd. “ultimo miglio” con le altre infrastrutture puntali (porti, retroporti e interporti, piattaforme logistiche, aeroporti, ecc.)
Cosa è mancato alla discussione sullo sviluppo della logistica in Puglia?
Come già esplicitato per il livello nazionale v’è stata una correlata e medesima scarsa attenzione a livello regionale. L’ultima visione strategica condivisa posta in essere da parte della regione Puglia è stata quella prefigurata dal compianto Gugliemo Minervini e che si è sostanziata nel lungimirante ma, per gran parte, inapplicato programma “Puglia Corsara”.
L’ultimo Piano attuativo 2021-2030 del Piano Regionale dei Trasporti ha il merito di un ottimo quadro ricognitivo e di analisi ma nel passare alla visione strategica soffre delle stesse mancanze di scelte prioritarie già analizzate a livello nazionale per i trasporti e la logistica.
Passando agli interventi previsti dal predetto ultimo documento, è mancata la priorità all’eliminazione di colli di bottiglia e a quegli interventi di sistema che, seppur realizzati in alcuni territori darebbero vantaggi, in tempi brevi e a costi contenuti, a tutto il sistema dei trasporti e della logistica regionale. E dei conseguenti a vantaggi dei cittadini e delle imprese pugliesi.
Eppure specifiche e puntuali annotazioni e proposte di variazioni a quel Piano sono state fatte da alcuni soggetti della rappresentanza delle parti sociali, in particolare, dai sindacati che, purtroppo, ad oggi non sono state recepite.
A ciò si aggiunge anche una frammentazione rilevante, anche in Puglia, tra i diversi operatori dei vari settori e modalità di trasporto con la conseguente mancata sinergia modale e aziendale che non è certamente adeguata in un contesto operativo e dimensionale in cui i top player sono aziende di trasporto multimodale (MTO) a livello mondiale. MSC né è un rilevante esempio,
Margini di miglioramento ci sono ma i tempi per poterli cogliere si stanno restringendo sempre più, al pari dei connotati essenziali per poterli realizzare, come la capacità/necessità ineludibile di aggregazione e sinergia sia aziendale che istituzionale.
È una occasione considerevole per far diventare sempre più attrattiva e competitiva la Puglia e, con essa, l’intero Mezzogiorno che può concretamente essere, anche in questo ambito, volano di sviluppo e non zavorra per l’intero Paese. Oltre ad auspicarlo cerchiamo concretamente di contribuire per poterlo realizzare non contro qualcosa o qualcuno ma a favore dello sviluppo territoriale equo e corale, dal Sud al Nord della Puglia, del Paese e della UE.