Affari di droga tra Manfredonia e il Nord Italia. È quanto emerge dalla retata di questa mattina dei finanzieri della Compagnia locale in collaborazione con il Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Foggia e i Gruppi di Lodi e Verona, con il supporto di unità cinofile e di un elicottero della Sezione Aerea di Bari. I militari hanno eseguito provvedimenti cautelari e perquisizioni per traffico e spaccio di hashish, in gergo “il fumo”.
In carcere Elia Fatone, 43 anni detto “Elia Racastill”, Pasquale Murgo, 47 anni alias “Topolino”, Michele Calderara, 28 anni e Matteo Colafrancesco, 45 anni. Ai domiciliari Annapia Castigliego, 39enne moglie di Fatone. Le persone coinvolte sono tutte nate a Manfredonia ad eccezione di Calderara, originario di Negrar in provincia di Verona. Quartier generale un box di parco Calabria, zona residenziale alla periferia della città sipontina, dove i chili di droga venivano custoditi con cura.
Risulta inoltre indagato, in posizione marginale, Damiano D’Ambrosio, ex assessore e consigliere comunale di Manfredonia, storicamente legato al gruppo del Pd locale. D’Ambrosio, a cui hanno sequestrato il telefonino, è accusato di favoreggiamento nei confronti di uno degli arrestati, Elia Fatone che gli avrebbe chiesto di informarsi sull’eventualità di qualche indagine in corso. Come precisato alla nostra testata dal suo avvocato, il legale Angelo Salvemini, l’ex politico non è coinvolto nel blitz e non è stato attinto da alcuna misura cautelare.
Ingenti quantitativi di droga anche verso il nord e nei lidi balneari
Le attività investigative, dirette dalla procura foggiana, sono state avviate nel marzo scorso a seguito del sequestro di 18 chili di hashish durante un posto di controllo stradale in una delle vie di accesso alla città di Manfredonia. Il conducente del veicolo non aveva ottemperato all’alt, si era dato alla fuga e, vistosi raggiunto dai baschi verdi subito partiti all’inseguimento, aveva abbandonato la vettura ed il carico di droga fuggendo a piedi nelle campagne.
Le indagini, immediatamente avviate, hanno permesso di raccogliere precisi elementi indiziari in merito al ruolo di 7 indagati, tra cui i 5 arrestati, nella movimentazione di ingenti quantitativi di droga con il Nord Italia, partendo da una base logistica di Manfredonia, e nell’attività di spaccio, prevalentemente nei lidi balneari durante la stagione estiva.
Mister X
Nelle carte dell’inchiesta, 38 pagine firmate dalla gip Valente, spuntano anche le lagnanze di Fatone e il suo timore di essere arrestato per colpa di altre persone.
L’uomo avrebbe affermato che una terza persona (un misterioso mister X) avrebbe organizzato il trasporto del “fumo” e che, mandato a Cerignola per ritirarlo, durante il ritorno all’altezza di Zapponeta, sarebbe successo qualcosa riferendosi evidentemente al posto di controllo effettuato il 6 marzo 2023.
“Lui sta sempre fuori a tutto”. Le parole di Fatone intercettate dagli inquirenti
Fatone si sarebbe quindi lamentato che “lui”, riferito a chi aveva organizzato il trasporto, “sta sempre fuori a tutto”, nel senso che non partecipava direttamente alle attività, esponendo al rischio solamente il Fatone. “Ho cambiato diecimila volte il numero di telefono. Io per cazzi di altri… senza leggere e scrivere… dovevo finire in galera! Hai capito?… Perché lui ha fatto tutte le cose il fatto del fumo… e mi ha mandato a me… come a Cerignola… ha detto vai a Cerignola… io sono andato a Cerignola come uno stupido… arrivo sopra strada per Zapponeta… lui però sta sempre fuori a tutto… capito io sono diventato il ragazzo suo“.
I “nomignoli” della droga e il maxi sequestro
Lo stupefacente veniva denominato “Gorilla”, “Ferrari” o “Porsche” a seconda delle diverse qualità contraddistinte dalle immagini impresse sui panetti. Nel giugno 2023 un corriere venne arrestato in flagranza di reato durante un posto di controllo sulla statale garganica, mentre trasportava 25 chili di hashish partiti da Manfredonia. Nel corso delle indagini sono stati sinora sequestrati oltre 43 chili, sempre di “fumo”, corrispondenti a circa 500mila dosi.
Il basista di San Marco
Nelle carte dell’inchiesta spunta il nome del basista della strage di San Marco in Lamis, Giovanni Caterino, affiliato al clan dei montanari Li Bergolis-Miucci-Lombardone, condannato in via definitiva all’ergastolo per la nota mattanza di mafia del 9 agosto 2017. Un uomo, M.P. avrebbe ricordato a Fatone di essere molto attento nell’uso degli smartphone. “Giovanni Popò (alias di Caterino)… a quello gli hanno messo cimici in tutte le parti e l’hanno inguaiato per le cimici. Quello al telefono non ha mai detto niente. Quando chiamava a me per dire (incomprensibile) io non avevo nemmeno il numero faceva ‘Ah! ah ah ah!’ già sapevo come era! I telefoni ragazzo oggi ti rovini tu stesso la vita!”.
Secondo gli inquirenti, iI riferimento fatto da M.P. ai contatti con Caterino “dà contezza del contesto criminale di riferimento in cui operano gli indagati”.
In una nota, la Guardia di Finanza ricorda come sempre che, “indipendentemente dal quadro indiziario raccolto e che ha portato all’emissione delle misure cautelari da parte del gip del Tribunale di Foggia, gli indagati non possono essere considerati colpevoli fino alla pronuncia di una sentenza di condanna definitiva”.