“Studiando la figura di Livatino e il contesto in cui ha operato, in particolar modo ciò che accadeva ad Agrigento, a Canicattì in quegli anni, ci sono tante similitudini e analogie con quello che noi viviamo in questa provincia, nella provincia Bat”.
Lo ha detto il capo della Procura di Trani, Renato Nitti a margine dell’arrivo a Palazzo di città ad Andria, della reliquia del beato Rosario Livatino, il giudice assassinato dalla mafia agrigentina nel 1990.
“In quegli anni si viveva con un forte depotenziamento delle forze di polizia: a Palma di Montechiaro non c’era neanche il commissariato – ha proseguito Nitti – e lo sforzo che veniva fatto da Livatino in materia ambientale, spesso non veniva compreso perché non tutti operavano nel settore del diritto penale dell’ambiente”. “Era difficile stare al passo con il suo metodo di lavoro”, ha evidenziato il procuratore.
“Se andiamo a leggere Nando Dalla Chiesa che è un altro autore che ha approfondito la figura di Livatino, ci rendiamo conto – ha aggiunto – che negli anni Ottanta è stata fatta una attività di denigrazione costante dei magistrati che ha portato a un forte senso di isolamento”. “Quanto sono oggi istruttive le pagine scritte da Livatino sul tema della responsabilità del magistrato”, ha continuato Nitti perché evidenziano “come certi meccanismi di cui sentiamo parlare in questi giorni dalla politica, sono destinati a produrre la figura di un giudice intimidito, ciò che egli non fu e non intendeva essere”.
“In questo territorio – ha concluso – c’è la necessità di recuperare credibilità, di farlo quotidianamente partendo dal tema delle Istituzioni, di quelle giudiziarie in primo luogo, ma anche di ogni altro profilo che non riguardi soltanto l’Istituzione giudiziaria”.
(Ansa)