Identità di genere, genitorialità, fluidità. Temi su cui si sta sviluppando in parte il dibattito pubblico nazionale ma che ancora non trovano riscontro nella risposta ai bisogni di una fascia popolazione, seppur ancora parzialmente emersa. Il Policlinico “Riuniti” di Foggia ha presentato oggi il nuovo percorso sulla la disforia di genere. Un’avanguardia per il sistema sanitario non solo regionale, perché potenzialmente capace di intercettare le esigenze di chi finora è andato anche all’estero per cambiare sesso. La complessità di questo lungo viaggio – prima interiore, poi ‘rielaborato’ dopo l’intervento chirurgico -, presuppone un approccio largo di equipe, per consentire di tener dentro tutto il supporto necessario alla transizione: dagli aspetti psicologici, passando per quelli chirurgici, fino al follow up territoriale. Oltre alle politiche pubbliche di sostegno necessarie per garantire “lo sviluppo pieno dell’individuo nella società”, come più volte sottolineato durante l’incontro di oggi nella sala ‘Turtur’ dell’ospedale. La giornata di formazione ha mostrato i percorsi clinico-assistenziali, diagnostici e terapeutici dei pazienti affetti dalla disforia di genere, partendo dalla diagnosi psichiatrica e passando per la terapia ormonale, la rettificazione anagrafica e infine quella chirurgica. Il Percorso diagnostico terapeutico, approccio medico, psicologico e chirurgico alla disforia di genere, nasce al Policlinico di Foggia e va dalla prima visita alla riassegnazione chirurgica del sesso e al follow-up postoperatorio, oltre ad occuparsi anche del trattamento di chi sceglie di non sottoporsi all’intervento.
“Questa è una problematica molto attuale, seppur di nicchia – ha commentato il dg Giuseppe Pasqualone -, qualcuno si può chiedere come mai il policlinico spenda soldi o si dedichi a questa attività, visto che dal punto di vista numerico i casi sono pochi. Non spendiamo soldi, mettiamo in campo i nostri professionisti, che sono già specializzati in questo tipo di percorso diagnostico-terapeutico. Abbiamo due obiettivi, il primo è quello di voler rilanciare le eccellenze di questa struttura, vogliamo essere un punto di riferimento non solo in Puglia, ma pensiamo di attrarre persone da tutto il resto d’Italia; poi vogliamo promuovere una cultura sanitaria dell’inclusione, in cui anche il singolo cittadino abbia gli stessi diritti e soprattutto abbia il diritto di esprimere liberamente la propria identità”.
La potenziale attrattività di Foggia sembra confermata dal trend iniziale, visto che i primi 7 percorsi che si sono conclusi con l’intervento chirurgico (6 con riassegnazione di sesso maschio verso femmina e uno per chirurgia funzionale o complicanze di femmina verso maschio) del professor Carlo Bettocchi – uno dei pochi in Italia a fare interventi di questo tipo – vengono anche da fuori regione. “Il contesto provinciale su queste tematiche è sensibile e pronto a recepire le sollecitazioni che arrivano dal basso – ha spiegato il direttore generale dell’Asl, Antonio Nigri -. La novità di oggi è senza dubbio un punto a favore per il sistema sanitario provinciale e regionale, in una fase in cui ognuno è importante per dare servizi migliori, in un contesto che vede anche i privati accreditati come punto di riferimento importante”.
Un ruolo decisivo dovrà essere assolto dai medici di medicina generale. Rosa Pedale, medico di famiglia e presidente di A.Ge.Do, durante il suo intervento ha spiegato le difficoltà di accesso paritario ai servizi, anche in campo sanitario: “Per quanto l’articolo 3 della Costituzione dica che bisogna trattare tutti alla stessa maniera, nei fatti così non è – ha riferito alla platea -, vi ringrazio come mamma, perché ho vissuto sulla mia pelle la discriminazione su mia figlia e mi sono resa conto in quel momento di quanto la medicina non fosse accogliente. Ma oggi parlo da medico di medicina generale, ruolo che rappresenta la prima porta d’ingresso nel sistema sanitario nazionale. È da qui che bisognerà partire per rispondere adeguatamente a chi è esposto maggiormente a rischi di natura cardiovascolare e ad alcuni tumori: ad esempio, una donna transgender non può fare una semplice ecografia prostatica perché non c’è corrispondenza tra codice della prestazione e identità di genere. Questo chiaramente aumenta l’incidenza del cancro alla prostata. Vale lo stesso ai tumori mammari. L’attenzione che devono avere i medici su queste categorie deve essere costante, noi vogliamo essere pronti”. Oggi è stato fissato il primo tassello di una rete, che avrà al “Riuniti” il suo hub di riferimento, in una sperimentazione guardata con interesse dalla Regione Puglia.
SCHEDA/ La disforia di genere
La Disforia di Genere (DG) è caratterizzata da intensa e persistente sofferenza causata dalla mancata congruenza tra il genere percepito (identità di genere) e quello assegnato (sesso biologico, così come definito dall’American Psychiatric Association – APA – nel 2013). Tale condizione può interessare soggetti sia di sesso femminile (in tal caso si parla di DG Female to Male – FtM) sia di sesso maschile (DG Male to Female – MtF). La letteratura è ricca di articoli che descrivono come il disturbo sia associato ad un notevole aumento del rischio di depressione (48-62% soprattutto donne transgender), ansia (26-48 %), comportamenti autolesivi/tentativi di suicidio. Si è notato anche un aumentato rischio di abuso di sostanze, disturbo post – traumatico da stress – PTSD e disturbi del comportamento alimentare. Vi sono sicuramente fattori protettivi come sostegno familiare, elevato livello culturale e socioeconomico, occupazione, e non ultimo essersi presi in carico da un servizio sanitario. Inoltre, vi è un notevole miglioramento se si effettua un trattamento ormonale/chirurgico.
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