“A Foggia da anni ci sono meno magistrati rispetto al numero previsto anche perché nessuno vuole venire a lavorare qui. I posti carenti vengono messi a bando, ma l’ultimo concorso è ancora andato vacante. Qui la tensione sociale è fortissima e pronta a esplodere: la violenza dei reati, nonostante i tanti anni di esperienza, ci sorprende ancora”. Lo ha detto Ludovico Vaccaro, procuratore capo di Foggia, nel corso dell’incontro in Corte d’appello a Bari con il vicepresidente del Csm Fabio Pinelli.
“Nei prossimi anni – riporta Ansa – rischiamo di perdere ancora più magistrati, nonostante il numero dei reati commessi sia enorme: ogni anno ci sono tra le 35mila e le 40mila notizie di reato. L’anno scorso abbiamo trattato 15 casi di omicidio, 30 di tentato omicidio. E i processi ancora pendenti sono 12mila. Si sa che c’è carenza di organico da anni ma la questione, pur trattata dal Csm in passato, non è ancora stata risolta. E rischia di peggiorare ancora”. Sul punto è intervenuto anche il procuratore della Repubblica di Bari, Roberto Rossi: “Quello degli organici da colmare – ha evidenziato – è un problema comune a tutti, che il Csm dovrebbe affrontare. E sulla criminalità foggiana il consiglio deve avere il coraggio di fare scelte strategiche, è un tema sul quale bisogna avere la massima attenzione”.
Al resto ci pensano le querele temerarie
A tutto questo si aggiunge la lunga sfilza di querele temerarie ai giornalisti, spesso per articoli che riportano pedissequamente passaggi di ordinanze cautelari, relazioni antimafia e sentenze scritte dagli stessi inquirenti ma che inspiegabilmente, in alcuni casi, danno il via ad altri processi. Come se lo Stato processasse se stesso.
“Le azioni legali intimidatorie sono definite ‘Slapp’, acronimo di Strategic lawsuit against public participation, cioè ‘causa strategica contro la partecipazione pubblica’ – scrive la trasmissione di Rai 3, ‘Report’ sui propri canali social -. Sono cause legali in cui è palese una grossa sproporzione di potere tra la persona o organizzazione che fa causa e chi viene accusato: il loro obiettivo non è necessariamente vincere il processo, ma comunque intimidire – anche soltanto attraverso i molti oneri ed effetti dello svolgimento di un processo – la persona accusata e scoraggiarne il lavoro, togliendole tempo, soldi e iniziativa. La maggior parte delle volte l’accusa è di diffamazione, ed è rivolta quasi sempre a giornalisti, blogger o attivisti. I giornalisti che lavorano come liberi professionisti, i freelance, sono quelli più esposti ai rischi di questo genere di azioni legali: non hanno infatti il vincolo di un contratto di lavoro dipendente, e non è consuetudine per le testate sostenerli con un avvocato o nelle spese legali. Il Parlamento italiano è già stato esortato ad allinearsi con le recenti pronunce della Corte Costituzionale in tema di diffamazione. La Corte è intervenuta con una decisione nel 2020 e con una sentenza nel 2021 sulla questione di costituzionalità della pena del carcere per i giornalisti nei casi di diffamazione a mezzo stampa, invitando il Parlamento a rimuovere le norme che lo prevedono – eccetto nei casi di ‘eccezionale gravità’ – e a promuovere un’ampia riforma della normativa in materia. Tale riforma, rimasta ferma ed ostacolata”.
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