Professionisti delle rapine. Nell’ordinanza di 160 pagine sui 17 arresti per gli assalti ai portavalori emerge il modus operandi dei cerignolani, veri specialisti del settore. Le carte dell’inchiesta riportano ben nove colpi in giro per l’Italia, due consumati. Ripulire i blindati è sempre più difficile, anche per i pregiudicati di Cerignola, a causa delle nuove tecnologie installate sui mezzi. Riguardo agli arrestati, gli inquirenti parlano “di una struttura organizzativa stabile e collaudata” oltre che di “un assetto logistico assimilabile, per certi versi, ad un vero e proprio modello aziendale di stampo criminoso“.
Ne farebbero parte gli arrestati Giuseppe Bruno 54 anni di Cerignola, Vincenzo Mundo 52 anni di Bitonto, Salvatore Bruno 25 anni di Cerignola, Gianfranco Specchio 48 anni di Cerignola, Matteo Scarano 26 anni di Cerignola, Vito Spagnuolo 26 anni di Cerignola, Domenico Dimmito 46 anni di Cerignola, Vincenzo Iovine 46 anni di Cerignola, Francesco Compierchio 26 anni di Cerignola, Giovanni Direse 29 anni di Cerignola, Christian Profeta 28 anni di Bari, Pietro Raffaeli 45 anni di Cerignola, Pasquale Saracino 48 anni di Cerignola, Antonio Braschi 44 anni di Cerignola, Cosimo Attila Cirulli 32 anni di Cerignola, Francesco Dimeo 44 anni di Cerignola e Savino Merotta 33 anni di Cerignola.
Le modalità di assalto ai furgoni portavalori
Nel corso dell’attività investigativa gli inquirenti hanno accertato che il gruppo criminale adottava un “approccio criminale marcatamente paramilitare”, in quanto “pianificava in maniera accurata ciascun assalto, attraverso sopralluoghi e monitoraggi dei transiti dei veicoli da assaltare”. I rapinatori preparavano la scena del crimine già alcune ore prima del colpo, lungo il tratto in cui doveva essere eseguito l’assalto, “prevalentemente mediante il taglio o smontaggio di porzioni di guardrail lasciate poi semplicemente appoggiate, la predisposizione di catene e bidoni con chiodi a punta multipla, la collocazione dei mezzi da utilizzare per bloccare il veicolo blindato”. Ma non è tutto, i criminali impiegavano, “in ciascun colpo, oltre 10 persone con ruoli ben definiti in ogni fase dell’azione criminosa (pianificazione, esecuzione, gestione della refurtiva) e si procuravano vetture, mezzi pesanti e mezzi d’opera provento di furto che custodivano in luoghi e strutture nella disponibilità esclusiva dell’associazione”.
Inoltre utilizzavano complici con funzione di “palo” o “vedetta” e “agganciavano l’obiettivo da colpire prima del suo ingresso nel teatro operativo”. Per agire usavano “autovetture di alta gamma, prevalentemente rubate da fiancheggiatori dell’associazione, per raggiungere l’obiettivo e poi assicurarsi la fuga”. E ancora, “utilizzano escavatori e mezzi d’opera per ribaltare e aprire i veicoli blindati dedicati al trasporto di valori”.
Riguardo alle armi i rapinatori si servivano di “armi di vario calibro, selezionate a seconda dell’obiettivo da colpire” ed utilizzavano “utenze mobili intestate a prestanome, attivate da dealers compiacenti, con cui comunicare in modalità ‘citofonica’ ovvero solo con altre utenze della stessa natura in possesso di ciascun membro del gruppo criminale, al fine di pianificare le azioni delittuose. In possesso degli assalitori anche i dispositivi jammers, idonei ad inibire le comunicazioni telefoniche, via radio e via web durante l’esecuzione di ciascun assalto”.
Per gli inquirenti “si tratta, in altri termini, di una associazione per delinquere di natura permanente costituita con il fine di commettere una serie indefinita di assalti ai furgoni portavalori“.
“Non andiamo a giocare a biglie, noi andiamo a fare le rapine!”
Fondamentali nell’indagine anche le intercettazioni. In ordinanza si legge: “I rapinatori stavano effettuando l’itinerario percorso dai camion che intendevano rapinare, vedevano un camion e Giuseppe Bruno diceva al figlio Salvatore: ‘vedi, questo è quello nostro… vagli dietro… quello Eurotec, questo è quello nostro’, e aggiungeva ‘lo vedi come va carico Salvatore, vai… vagli appresso’. Dopo aver pedinato uno dei camion da assaltare, Giuseppe Bruno indicava al figlio ‘il punto strategico a destra verso Novara’, da dove osservare il flusso del traffico che, in quel punto, consentiva di poter prendere due direttrici: Novara o Vercelli. Bruno spiegava al figlio che l’azienda era di Gattinara a circa 15 km dal punto in cui si trovavano in quel momento. Poi Bruno riferiva che la targa del DAF era ‘186’ e che sarebbe stato opportuno segnarsi le targhe di tutti e tre i camion attenzionati. Poi però si convinceva che forse era meglio rapinare i primi due che fossero passati davanti a loro anche se questo poteva significare un bottino più scarso”.
In un’altra circostanza “Giuseppe Bruno e Vito Spagnuolo – si legge ancora nelle carte dell’inchiesta – raggiungevano via Giovanni Poggio, a Torino, dove venivano recuperati da Matteo Scarano. I tre pregiudicati effettuavano un nuovo sopralluogo nel corso del quale Bruno indicava le posizioni che avrebbero dovuto occupare il giorno della rapina alcuni dei componenti del commando e i rispettivi ruoli. Giunti al casello Bruno spiegava ai complici come prendere il biglietto in modo da non lasciare tracce per non essere identificati ed associati a qualche evento delittuoso. L’uomo affermava che bisognava adottare tutte le precauzioni in quanto l’errore di uno poteva coinvolgere tutti, e aggiungeva: ‘Perché una distrazione è fatale! Non andiamo a giocare a biglie, noi andiamo a fare le rapine!… le rapine sono 5-6 anni… che ci togliamo della vita nostra! Le rapine non sono il furtarello… questi appena sentono rapina già si mettono addosso come leon la gioia loro! I blindati? La gioia loro! La gioia loro! Quanti ne erano? 1, 10, 50, 100 si mettono addosso… perciò… quando loro non hanno traccia da cui avviarsi… si fanno… il trimone…’“.
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