Una nuova speranza per la cura dei tumori della mammella più aggressivi nasce dalle ricerche di un gruppo di ricercatori dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) coordinati da Salvatore Pece, professore ordinario di Patologia generale all’Università Statale di Milano e Direttore del Laboratorio “Tumori Ormono-Dipendenti e Patobiologia delle Cellule Staminali” dello IEO. Alle ricerche ha contribuito l’Università di Foggia nella veste della professoressa Francesca Sanguedolce, professore associato di Anatomia patologica del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale.
“I risultati dello studio sostenuto da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro sono appena stati pubblicati sulla rivista Nature Communications. I ricercatori hanno scoperto un inedito meccanismo molecolare che, se attivato, altera il metabolismo delle cellule tumorali, favorendone la crescita incontrollata e la progressione verso la malattia metastatica. All’origine dell’intero processo c’è la proteina CDK12, che, se espressa in maniera esagerata – come avviene in oltre il 20% di tutti i tumori mammari umani – provoca la cascata di eventi che rendono il tumore aggressivo, resistente alle chemioterapie convenzionali e a rischio di metastasi. Dunque la presenza di CDK12 a livelli elevati da un lato costituisce la forza motrice della malattia, ma dall’altro – sottolinea Pece – diventa un biomarcatore tumorale e un punto di vulnerabilità. Grazie a tale biomarcatore è infatti possibile identificare i tumori da colpire con farmaci anti-metabolici, deprivando così le cellule tumorali dell’energia necessaria per la loro moltiplicazione e costringendole in sostanza a morire di fame.”
“I nostri studi dimostrano che è possibile combattere il cancro attaccandone il particolare metabolismo – spiega Sanguedolce. – “In questo modo, si interferisce così con la capacità propria delle cellule tumorali a elevata espressione di CDK12 di utilizzare in modo anomalo il glucosio per alimentare la via metabolica del ciclo del folato che, a sua volta, fornisce i costituenti necessari per la replicazione del DNA, sostenendo la replicazione cellulare e la diffusione metastatica.”
“È noto da circa un secolo che le cellule tumorali presentano un metabolismo differente da quelle sane.” – continua Salvatore Pece – “L’utilizzo di farmaci anti-metabolici è stato tra le prime strategie messe in campo per combattere il cancro, in particolare il cancro della mammella. Tuttavia l’entusiasmo per questi farmaci da parte degli oncologi è progressivamente diminuito per la mancanza di marcatori per identificare in modo preciso le pazienti in grado di beneficiare selettivamente ed efficacemente di queste terapie. Nei nostri studi abbiamo integrato i dati ottenuti in esperimenti con animali di laboratorio con le analisi retrospettive di diverse coorti cliniche di pazienti con tumore mammario. I risultati risolvono il problema poiché indicano chiaramente che elevati livelli di CDK12 costituiscono un biomarcatore utilizzabile per selezionare le pazienti da trattare con terapia anti-metabolica utilizzando un farmaco, il metotrexato, già disponibile nella clinica per la cura del tumore mammario”. Una delle più importanti osservazioni di queste ricerche – aggiunge Salvatore Pece – effettuate sia in animali di laboratorio che in coorti di pazienti, è che i tumori con elevati livelli di CDK12 risultano particolarmente sensibili a terapie anti-metaboliche a base di metotrexato anche nel caso di pazienti che abbiano sviluppato resistenza ad altri comuni tipi di chemioterapie, come taxani ed antracicline, aprendo una nuova concreta possibilità di cura per le pazienti che abbiano fallito altri tipi di chemioterapie”.
“Questo studio rappresenta per noi motivo di grande soddisfazione – continua il professor Pece – non solo per la sua valenza scientifica ma anche per i risultati clinici. È infatti uno di quei rari momenti della ricerca in cui, dopo molti anni di studio, è possibile passare dalla ricerca di base all’applicazione concreta in ambito clinico. Abbiamo infatti a disposizione sia farmaci già immediatamente disponibili per la cura delle pazienti, sia un nuovo marcatore di aggressività tumorale e rischio metastatico che è, allo stesso tempo, un nuovo bersaglio di terapia mirata”.
“In aggiunta alla possibilità concreta di trasferire i risultati della ricerca di base al letto del paziente nella più ampia prospettiva della ricerca traslazionale per la medicina personalizzata, questo studio assume anche un altro aspetto di fondamentale rilevanza: la nascita e lo sviluppo di sinergie tra gruppi di ricerca presenti nelle diverse realtà presenti sul territorio nazionale come, in questo caso concreto, la collaborazione tra l’Università Statale di Milano, l’Istituto Europeo di Oncologia e l’Università di Foggia.” – Conclude Maurizio Margaglione (in foto), direttore del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Foggia -. “In questa medesima prospettiva intendiamo contribuire come Università di Foggia a studi clinici finalizzati a confermare ulteriormente questa nuova prospettiva terapeutica per le pazienti con tumore della mammella che, sulla base di specifiche caratteristiche istologiche e molecolari, siano eligibili per il trattamento con farmaci antimetabolici come il metotrexato”.