Lanciare un satellite destinato a orbitare attorno a Marte è un’impresa complessa, non facciamo fatica a immaginarlo. Quello che invece può sorprendere è quanto sia difficile – una volta che la sonda è giunta a destinazione – riuscire a rallentarla al punto giusto per farle raggiungere l’orbita finale. La tecnica comunemente usata – per Marte e altri corpi celesti dotati di atmosfera – è quella dell’aerobraking: frenare sfruttando in modo calcolato l’attrito prodotto, appunto, dall’atmosfera. Ma è una manovra che richiede tempi lunghissimi, a volte più lunghi dell’intero viaggio: Il Trace Gas Orbiter della prima missione ExoMars dell’Esa, per esempio, lanciato il 14 marzo del 2016 e giunto attorno a Marte sette mesi più tardi, ha dovuto compiere una “frenata calcolata” durata ben undici mesi – dal marzo 2017 al febbraio 2018 – per ridurre la velocità di 3600 km/h, fino ad arrivare a quella necessaria per raggiungere l’orbita richiesta.
Ora però uno studio pubblicato il mese scorso sul Journal of Guidance, Control, and Dynamics da due ricercatori della University of Illinois Urbana-Champaign (Usa) propone una soluzione che potrebbe consentire di ridurre drasticamente questi tempi: agire sui pannelli solari per usarli in modo più efficace come sistema frenante. Prima autrice dell’articolo, firmato insieme al suo advisor di dottorato Zachary Putnam, è l’italiana Giusy Falcone. Nata e cresciuta a Vieste, sulla costa del Gargano, si è laureata in ingegneria aerospaziale a Pisa ed è ora – appunto – a Urbana, nell’Illinois, per il dottorato. «Ma il mio legame con il mare è molto profondo», dice a Media Inaf, «e il mio sogno è quello di lasciare un giorno i campi di mais dell’Illinois per avvicinarmi all’oceano».
Allora come mai la scelta di venire a fare il dottorato proprio a Urbana?
«La scelta di trasferirmi in Illinois è stata dettata da una forte volontà di lavorare nel settore spaziale e di fare ricerca d’avanguardia. L’università dell’Illinois è la quinta migliore università americana in ambito aerospaziale ed ero consapevole che intraprendere un dottorato qui mi avrebbe permesso di approfondire le mie conoscenze nel settore e di crescere professionalmente. Per esempio, ho avuto la possibilità di lavorare sulla missione Asteroid Redirect Robotic Mission per il mio studio di tesi magistrale e di partecipare a incredibili eventi, come il Kiss workshop “Revolutionizing Access to the Martian Surface” nel quale ho avuto la grande opportunità di collaborare con scienziati Nasa, ingegneri di SpaceX e professori provenienti da tutto il suolo americano. Ovviamente, devo molto al mio advisor, il professor Putnam, splendido insegnante che mi ha sempre supportato e ha avuto continua fiducia in me e nei miei progetti».
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Progetti come questo che fa ricorso ai pannelli solari per l’aerobraking. È una novità?
«In aerobraking, l’utilizzo dei pannelli solari è oramai una pratica di routine, anzi il loro impiego è fondamentale. La loro grande apertura viene infatti sfruttata per massimizzare la resistenza atmosferica, pertanto essi vengono generalmente mantenuti perpendicolari al flusso del gas durante tutto il passaggio atmosferico. L’idea di ruotare i pannelli solari in aerobraking è invece completamente nuova. Tale rotazione infatti fornisce un potere di manovra nel passaggio in atmosfera, specificatamente consentendo al veicolo spaziale di controllare sia il carico termico sui pannelli solari che l’energia dissipata (decelerazione)».