Guerre di mafia e “pax criminali” nel processo al boss di San Severo, Giuseppe La Piccirella detto “Il professore”. Il 63enne, a capo del clan Testa-La Piccirella, è accusato di mafia, traffico di droga, 5 imputazioni di spaccio, duplice tentato omicidio, 3 estorsioni, 4 tentativi di estorsione, gambizzazione, 9 imputazioni di armi, 3 di ricettazione e una di furto. Fu arrestato nel blitz “Ares” del 2019 insieme a decine di esponenti di spicco della mafia di San Severo e Foggia. Quasi tutti scelsero il rito abbreviato, terminato a maggio scorso con numerose condanne, tranne “il professore” e il 65enne Giuseppe Spiritoso detto “Papanonno”, nome noto della criminalità foggiana. La posizione di quest’ultimo è più marginale, risponde per alcune presunte cessioni di droga.
Nell’ultima udienza è entrato in scena un ispettore di polizia, tra i principali investigatori di “Ares”, sentito da accusa e difesa sul tentato omicidio di Michele Russi detto “Lillino Coccione”, uomo di vertice del gruppo Nardino (rivale dei Testa-La Piccirella), scampato alla morte il 14 febbraio del 2015, ma poi ucciso a novembre 2018 in un salone di barbiere, mandanti e killer ancora ignoti.
Già il giorno di San Valentino di sei anni fa, Russi fu bersaglio di un agguato mafioso mentre era in auto con il genero Claudio Guerrieri, quest’ultimo rimasto ferito da colpi di mitraglietta. Illeso Coccione, seduto lato passeggero. Secondo l’accusa, pm della DDA Bruna Manganelli, La Piccirella – difeso dall’avvocato Luigi Marinelli – avrebbe fatto parte del gruppo di fuoco composto da quattro persone, una convinzione maturata in seguito alle parole di Franco Nardino, boss rivale del “professore”, intercettato mentre parlava con alcuni parenti. Nardino, alias “Kojak”, avrebbe rivelato che durante un colloquio La Piccirella gli confidò di aver sparato a Coccione. Di questa “confidenza” non c’è traccia nelle carte, ma esistono filmati del 27 dicembre 2015 che mostrano La Piccirella recarsi da Nardino mentre quest’ultimo era in permesso premio. I due si incontrarono in uno dei pochi ambienti “scoperti” e quindi non intercettati dagli investigatori. La difesa è quindi sicura di poter smontare le accuse nei confronti dell’imputato in quanto mancherebbero riscontri solidi.
Ma c’è di più, secondo quanto riferito dall’ispettore in udienza, l’incontro tra i boss era finalizzato ad una “pax criminale” tra i due clan e che, “in segno di rispetto”, La Piccirella avrebbe persino lasciato a Nardino 500 euro in contanti. Tutte vicende prive di intercettazioni plausibili in quanto gli apparati telefonici captati erano telefoni gsm non facilmente “aggredibili”. Inoltre, i sanseveresi sono soliti cambiare utenze continuamente, anche ogni 15 giorni. In buona sostanza, per la difesa si tratterebbe di un processo perlopiù “indiziario”. Di tutt’altro avviso la procura antimafia, convinta di poter arrivare alla condanna dell’imputato.
Prossima udienza a fine novembre, ma sentenza ancora lontana. Nelle liste testi figurano almeno un’ottantina di persone anche se il pm dovrebbe depennare alcuni nomi. La Piccirella segue il processo dal carcere di Teramo dove è detenuto in regime di Alta Sicurezza. (In alto, in foto, La Piccirella e Nardino; sullo sfondo l’incontro del dicembre 2015)