
È possibile un’altra storia per Foggia? È stato questo l’interrogativo posto all’Aula Magna dell’Unifg in via Caggese, mutuato dal titolo dell’ultimo libro della illustre ospite, la ministra della Giustizia del Governo Draghi, Marta Cartabia, professoressa ordinaria di Diritto costituzionale, già giudice della Corte costituzionale e prima presidente donna nella storia d’Italia della Consulta. A dialogare con la ministra, la direttrice del dipartimenti giuridico Donatella Curtotti e il presidente onorario Fai Tano Grasso. Dopo il commovente intervento delle vedove Luciani e le forti parole di Arcangela Luciani, Grasso ha ripercorso cosa può regalare a Foggia un’altra storia. C’è ancora una specifica peculiarità tutta foggiana nella lotta alla mafia, secondo l’esponente antiracket. Se in Sicilia, in Calabria o in Campania, chi denuncia viene temuto dalla criminalità organizzato, questo non accade a Foggia dove anche chi denuncia, continua ad essere vessato, come in una eterna sfida alle istituzioni e alla cultura della libertà.
Eppure anche in Capitanata ci sono esempi positivi. Grasso ha ricordato l’emblematico caso Vieste. Ma è poi tornato agli esempi più fulgidi a livello nazionale, Capo d’Orlando con la morte di Libero Grassi ed Ercolano. A tal proposito ha rivolto un affettuoso saluto al questore Paolo Sirna che nel 1990, con la qualifica di vicecommissario a Sant’Agata di Militello da cui dipendeva Capo d’Orlando, fu un protagonista assoluto di quella stagione antimafia siciliana.
“Quello che è accaduto a Vieste si è verificato anche ad Ercolano, dove c’erano 58 omicidi e 34 tentativi di omicidio all’anno, il punto di svolta fu la nascita dell’associazione antiracket. Con l’associazione nasce la fiducia, vale la pena fidarsi dello Stato, perché se si procede collettivamente nessuno rischia, nel 2017 c’è il primo che denuncia. Poi finalmente lo spiraglio, i commercianti sfilano in fila davanti alla stazione dei carabinieri e all’associazione antiracket per denunciare anni di violenza. In 100 sono andati a testimoniare, una cifra enorme. Solo uno vive con la scorta, nessuno ha bisogno di protezione speciale, questa è la forza di quel modello. Può esserci un’altra storia anche a Foggia? Cosa c’è a Foggia? Da un lato la solitudine del commerciante, dall’altro la forza di una organizzazione criminale. Questa situazione è chiara anche ai mafiosi, in una indagine della Digos si legge che davanti al no dell’imprenditore, i mafiosi gli porgono il telefono, per sporgere denuncia. Se fosse stato arrestato un estorsore, sarebbero arrivati altri, gli dicono. Anche a Foggia ci sono segnali positivi, nel 2020 sono aumentate le denunce di estorsione del 9%, da 152 a 168, segnano una inversione? Sì, anche se poca cosa. C’è un punto fermo: la qualità delle donne e degli uomini delle istituzioni è eccellente. Gli elementi dello Stato indicano una possibilità, l’esito della possibilità dipende dagli operatori economici, perché la libertà del mercato non si risolve solo nelle aule di giustizia: senza i commercianti e gli imprenditori che denunciano, altri mafiosi faranno estorsioni e continueranno a limitare la libertà. Da Libero Grassi e da Giovanni Panunzio dobbiamo imparare che ogni azione deve servire ad evitare altri drammi. Impedire in ogni modo che altri possano trovarsi in quelle condizioni di solitudine e di isolamento”, ha osservato Grasso, il quale però ha anche avvertito che “per essere liberi non serve solo coraggio, ma responsabilità ed intelligenza”.
“Non basta vincere la paura perché non è solo un problema di paura ad ostacolare questa terra. In terra di mafia pesa di più una relazione di convenienza che gli imprenditori traggono da rapporti con la mafia. Non è complicità o collusione, è una convenienza ambientale che fa capire all’imprenditore che è preferibile non ribellarsi, perché si rischia di trovarsi fuori mercato. La paura si può vincere, ma capovolgere la convenienza è molto più difficile e complicato, se le mafie hanno questa lunga durata, in Sicilia e Calabria sono secolari, è perché non sono solo soggetti di oppressione, le mafie sono soggetti produttrici di convenienza, è in essa che c’è la ragione di questa lunga durata. È una strada difficile e complicata, ma per Foggia è obbligata, non è in gioco solo la libertà dei singoli imprenditori, ma la speranza dei giovani di costruire un proprio futuro. Giovanni Falcone diceva che le mafie si sconfiggono con la capacità di costruire una strategia e le associazioni forniscono una strategia. Citando Leonardo Sciascia possiamo dire che Foggia può apparire come una delle tante città irredimibili d’Italia, ma si è irredimibili solo se si sceglie di esserlo, magari compiacendosi nel vittimismo, accusando il destino cinico e baro, c’è sempre un filo da afferrare per tirare la trama dell’ordito. Abbiamo il sostegno di autorevoli personalità dello Stato”.

Cartabia dal suo canto ha citato spesso le lettere e il colloquio avuto con Arcangela Luciani. “Mi è parso subito che questa fosse una occasione straordinaria, mi avete chiesto di prestare i miei occhi su una scena che sembrava quella di un film, non posso avere i vostri occhi, ma posso vedere i vostri occhi, posso ascoltare i discorsi di chi ha vissuto storie di ferocia, di oppressione, di intimidazione. Le vedove Luciani vogliono rimanere qui per i propri figli. Può esserci un’altra storia? Un’altra storia è presente con l’associazione che dà forza alla decisione individuale, quanta differenza fa una associazione, una rete antiracket che non lascia soli. Dobbiamo comprendere meglio e guardare una terra ferita, conoscere di più e far conoscere di più: iniziative come queste sono meritorie quando troppa nebbia e sottovalutazione hanno permesso alle mafie di radicarsi nella distrazione o nella colpevole disattenzione di tutti. C’è un aspetto che mi ha colpito di Foggia nella cronaca nera ed è che questo fenomeno stenta ad avere un nome, è stato Tommaso Buscetta a fornire il nome di Cosa Nostra. Qui parliamo di Quarta Mafia, ma non abbiamo neanche un nome chiaro al fenomeno che sta affliggendo questo territorio. Dare un nome non è un aspetto secondario, iniziative pubbliche come questa servono a squarciare un velo di ignoranza, che è il primo passo per cominciare a scrivere le prime parole di un’altra storia. C’è un secondo aspetto che mi colpisce: la solitudine, è tornata più volte nel discorso di Grasso. Arcangela Luciani mi ha scritto: ‘la mia terra per 40 anni è stata lasciata sola alla mercé dei criminali’. Ecco, forse più grave della perdita è il senso di abbandono e di solitudine, nessuno potrà restituirvi ciò che vi è stato barbaramente tolto, ma ciascuno è chiamato a contrastare il senso dell’abbandono, che è più buio del più buio dolore. Siamo qui per dire a ciascuno che non è solo nella sua lotta contro un fenomeno che opprime e deprime un territorio, una società e generazioni intere. Anche le istituzioni sono qui”.