“Sono capace di mangiare un cuore crudo e sparare da 40 metri colpendo il bersaglio. Lo Stato non sfidasse tanto le persone, pensasse a garantire la sicurezza. Tu non puoi istigare a farmi ritornare a quello che ero”. Sono le parole, molto forti, pronunciate dall’ex boss pentito Salvatore Annacondia, 64enne tranese detto “Manomozza”. Il capomafia incontrastato negli anni ’80 e ’90 è stato intervistato da Antonio Procacci a “Il Graffio”, trasmissione di Telenorba. Per oltre una ventina di anni, Annacondia ha vissuto con un’identità segreta ma ora è tornato a chiamarsi con il suo nome. La sua identità di protezione gli è stata infatti revocata dopo un arresto per usura e il conseguente processo che è in corso. Condannato a centinaia di anni di reclusione (poi convertiti in 30 anni) nei maggiori processi alla criminalità organizzata pugliese, “Manomozza” ha consentito con le sue rivelazioni l’arresto e le condanne di decine di affiliati e boss di clan pugliesi. Compresi i capi delle batterie di Foggia e provincia.
A Telenorba, l’ex pentito dichiara: “Oggi la mia paura non è la criminalità organizzata, ognuno risponde delle proprie azioni. Ma io ho paura dello Stato e delle forze dell’ordine al suo servizio. Parlo di uffici deviati dello Stato”.
Poi un commento sulla corruzione nel mondo giudiziario pugliese, travolto in questi mesi dal caso dell’ex gip De Benedictis, arrestato con l’accusa di aver agevolato la scarcerazione di presunti mafiosi. “Il caso De Benedictis? Non mi meraviglia niente”, dice Annacondia. L’ex pentito ha svelato di avere anche lui, in passato, manipolato alcune decisioni giudiziarie come un ordine di scarcerazione a suo favore ad inizio degli anni ’90 quando era in carcere a Foggia. Una scarcerazione impedita in extremis grazie all’intervento dell’integerrimo Pasquale Drago, già coordinatore della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari.
“In carcere c’è la mamma della corruzione – le parole di Annacondia -. Oggi trovano i telefoni in cella? Io in carcere possedevo pistole, champagne e cocaina. E mangiavamo aragoste. Avevamo tutto. Era un albergo a 5 stelle. Si è più sicuri in carcere che da pentito”. Qui l’intervista integrale: http://norbaonline.it/ondemand-dettaglio.php?i=117104
I collegamenti con Foggia
Il nome di Annacondia è legato a doppio filo con la storia della “Società Foggiana”. L’uomo, tranese, è tra i pentiti “forestieri” più noti nella storia della mafia locale. L’ex boss, soprannominato “Manomozza” per aver perso una mano quando era ragazzo a causa di un ordigno, fu a lungo detenuto nel carcere di Foggia. Negli anni ’90, proprio mentre si trovava nel penitenziario dauno, Annacondia decise di collaborare confessando decine di omicidi tra commessi e ordinati. Fu sentito persino nel processo sulla trattativa Stato-Mafia a Palermo.
“Manomozza” rivelò di essere tra gli autori materiali della triplice lupara bianca di San Giovanni Rotondo nel 1991, quando ebbe l’incarico di sequestrare un garganico coinvolto in una guerra di mafia tra Lombardia e Campania. Annacondia avrebbe dovuto sequestrarlo e consegnarlo alla ‘ndrangheta ma il piano fallì. Tre persono furono uccise e bruciate in una discarica di Trani. Il criminale tranese prese parte anche al processo “Panunzio” degli anni ’90, terminato con il riconoscimento giudiziario della mafia foggiana, e fu lui a spiegare che l’organizzazione malavitosa si chiamava “Società”. Giosuè Rizzi, storico boss foggiano, ucciso in via Napoli nel 2012, venne soprannominato “il Papa di Foggia” proprio da Annacondia.