Si chiama le “Le Redini del Cavallo”, dal nome della pianta del centro storico che rappresenta una testa di cavallo, il progetto pilota volto a fornire i presupposti per rendere la città di Foggia una città sostenibile e all’avanguardia, concepito dalle percezioni degli architetti Roberto Pertosa e Luca Caputo. Si tratta di un intervento di riconcettualizzazione di un ampio pezzo di città che investe Via Arpi, Piazza Mercato, Via Manzoni, l’ultimo tratto di Corso Garibaldi, Via Fuiani, fino a inglobare Piazza Aldo Moro, che preserva e valorizza le caratteristiche morfologiche del Borgo antico, identificato dalla “Testa di Cavallo”, con interventi chirurgici di adeguamento e di connessione tra gli innumerevoli vuoti urbani segmentati, tramite una sorta di “effetto Tetris” che possa trasformare le aree disgregate in luoghi di aggregazione, in una sequenza costante di “piazze passanti”. Tali piazze nell’idea dei due architetti dovranno integrarsi con il sistema delle corti pubbliche-private circostanti, riproponendo, con strategia contemporanea, il sistema dei cortili interni caratteristici dell’urbanistica foggiana.
Sono diversi i palazzi storici foggiani che hanno ancora un sistema di corti, a cominciare dal bellissimo Palazzo Villani in Via Manzoni. Ovviamente il progetto, che idealmente viene consegnato ai prossimi candidati sindaci della città, prevede la pedonalizzazione di ampi tratti, Via Arpi e Via Manzoni su tutti, collegandoli alle aree pedonali già consolidate col fine di integrare un costruito autosufficiente, da un punto di vista energetico.
“Il nostro progetto trarrà spunto in maniera significativa dalla nuova icona della città, la tanto agognata Stele in Piazza Nigri, rappresentazione del Sapere, posta a commemorazione del VIII centenario dell’arrivo di Federico II a Foggia. Si prevede infatti una consistente sinergia tra quest’ultima e un’altra icona fondamentale, storica e consolidata, che si identifica nell’Epitaffio, rappresentazione della Transumanza. Entrambe, “fondendosi” fisicamente e visivamente, raffigureranno simbolicamente la “Transumanza del Sapere” che si traduce con il disegno di un’impronta organica di connessione a terra (il “fiume della percorrenza”), e che si materializza con il raggiungimento della “Torre di vetro della Conoscenza”, simbolicamente intesa come ulteriore nuova stele, a totem della storica Porta di Bassano (Porta Piccola), collegata, tramite un simbolico ponte pedonale sospeso, al Polo Universitario”, spiega l’architetto Pertosa. Non mancano nel progetto delle ampie zone verd inserite all’interno dello spazio urbano, in modo da realizzare una transizione a verde in vista di un parco naturale contenente una serie di poli.
Ma le abitazioni esistenti alcune fatiscenti soprattutto su Via Manzoni? Gli architetti hanno pensato a questo aspetto. “Le nuove volumetrie, prototipi integrati nel centro urbano a sostituzione di alcune volumetrie preesistenti, si adegueranno alla densificazione abitativa della porzione di città che l’intervento si presta a rinnovare, e uniranno funzioni residenziali a quelle commerciali, lavorative e didattiche, affermando prepotentemente il concetto di Città diffusa autosufficiente. Essenziale quindi è l’intenzione di ripensare lo spazio pubblico nel suo rapporto con lo spazio privato, al fine di restituirgli nuovamente il suo ruolo di spazio domestico deputato alla vivibilità, alla percorrenza, all’evocazione e alla meditazione”.
I due professionisti sono molto critici rispetto all’eterno Pug del professor Francesco Karrer e alla sua “urbanistica sartoriale” che vuole “Ricucire, rammendare, riammagliare”. In una intervista alla Gazzetta del Mezzogiorno Pertosa ha evidenziato: “Una città frazionata, segmentata, slabbrata, con innumerevoli vuoti urbani, per molti versi irreversibile, e con una struttura morfologica bloccata, spesso resa inaccessibile da interventi scriteriati, e in cui la qualità architettonica degli spazi pubblici, dei luoghi urbani e dei fabbricati è pressoché latente; una città fatta di interi quartieri (settecenteschi/ottocenteschi e altri ancora) da sventrare e da ridisegnare totalmente in quanto senza alcuna possibilità di recupero, e in cui gran parte del tessuto edilizio esistente versa in un estremo e indicibile degrado; una città in cui la “nuova” edilizia pubblica e privata ha prodotto scempi senza pari, brutalizzando campagne e contesti urbani, periferici e non, grazie a generosi politici assoluti benefattori di demanio pubblico, ed è stata rappresentata storicamente dalla più grande 167 d’Italia, nonché il più grande “orrido orror di un’orridezza orrenda” sotto le mentite spoglie di un piano di edilizia economica e popolare che tutto ha prodotto fuorché la risoluzione dell’emergenza abitativa, apparentemente non permetterebbe altro che un “riammaglio”? Questa città, in realtà, necessita di quella visione che purtroppo non possiede nel suo DNA, che possa elargire definitivamente un’impressione socio-culturale vera, intellettuale, capace di spazzare via un fetido degrado antropologico ormai insopportabile”.