Gli aggiustamenti di alcuni processi sarebbero stati una realtà nel tribunale di Bari già dieci anni fa. Ai magistrati lo avevano raccontato due collaboratori di giustizia: prima Matteo Tulimiero e poi Vito De Felice, il primo orbitante nel mondo dei Parisi-Palermiti, il secondo affiliato al clan Strisciuglio con il grado di ‘quarta’, che dei clan baresi conoscevano storie e segreti.
Compresi i metodi utilizzati dai mafiosi per parare i colpi della giustizia a suon di denaro. Le loro dichiarazioni sono state inviate dalla Direzione distrettuale antimafia di Bari a quella di Lecce nell’estate dello scorso anno su sollecitazione dei pm Roberta Licci e Alessandro Prontera, che coordinano le inchieste sull’ex giudice Giuseppe De Benedictis e sull’avvocato Giancarlo Chiariello. Il magistrato due giorni fa è stato sottoposto a un interrogatorio fiume: gli esiti sono al vaglio degli inquirenti, che devono capire come utilizzare le sue rivelazioni. I verbali di De Felice, invece, sono già stati esaminati e tra le sue dichiarazioni è stata trovata la conferma a quanto ha riferito Domenico Milella (l’ex braccio destro del boss Eugenio Palermiti, oggi collaboratore di giustizia), secondo il quale già intorno al 2010 nei clan si sapeva che per essere scarcerati bisognava rivolgersi ad alcuni avvocati che avevano rapporti con il giudice De Benedictis e pagare loro lauti compensi.
Milella ha ricostruito la storia di alcune liberazioni dei Palermiti, rispetto alla quale i carabinieri del Nucleo investigativo di Bari hanno trovato conferma recuperando gli atti delle indagini di riferimento. “Otto-nove anni fa, io ero ancora un ragazzo e già sapevo che il giudice De Benedictis prendeva le mazzette – aveva raccontato Milella -. Tramite un avvocato di Altamura e poi tramite altri avvocati, di Bari e di Foggia”. Parole che fanno il paio con quelle che aveva pronunciato un decennio fa De Felice, davanti ai pm Desiree Digeronimo e Federico Perrone Capano, parlando di De Benedictis ma anche di altri giudici. Il pentito aveva riferito un caso preciso, che conosceva bene in quanto aveva riguardato il padre (anch’egli affiliato agli Strisciuglio): “So che c’erano magistrati collusi, bastava che gli portavi i soldi e uscivi. Nel ’94 pagammo per mio padre, ci mettemmo d’accordo con l’avvocato, che disse a mia madre “Devi darmi 500 milioni, 200 per me e 300 per il dottore””.
Il riferimento era a un procedimento penale (non assegnato a De Benedictis) nel quale erano imputati per traffico di droga diversi esponenti del clan, la maggior parte dei quali ottennero una pena minima: “L’avvocato si mise d’accordo con il giudice, per avere 27 patteggiamenti, prendemmo 1 anno e 10 mesi, è buono….”. Poi, alla specifica domanda della pm su altri magistrati che aiutavano gli imputati, De Felice rispose: “De Benedictis”, raccontando la storia di “un ragazzo di Cassano, un certo Michele, che è stato con me in cella nel 2010”. “Ha comprato al giudice un Rolex di 4mila euro mi ha raccontato – ha detto il collaboratore – poi è stato scarcerato e mandato agli arresti domiciliari”. Il verbale di De Felice era pieno di omissis, già all’epoca, e visto che conteneva riferimenti a magistrati in servizio presso il distretto della Corte d’appello di Bari era stato inviato alla Procura di Lecce. Inchieste su presunti episodi di corruzione, però, all’epoca non ne erano state avviate nonostante fossero stati mandati anche i verbali di Tulimiero.
Nel 2012 l’allora aspirante collaboratore di giustizia parlò di De Benedictis ma anche di un altro giudice che “fece in modo di fare avere la sorveglianza a Fortunato”, un altro esponente del gruppo Palermiti, “per il quale pagammo 20mila euro per farlo uscire”. Stando alle sue indicazioni, gli avvocati dividevano i soldi con alcuni giudici. Il sistema delineato dai collaboratori nel 2012 era identico a quello che oggi la Procura della Repubblica di Lecce contesta nell’inchiesta per corruzione in atti giudiziari, ovvero istanze di scarcerazione preannunciate al giudice e motivate in base ad accordi pregressi a cui sarebbero seguite le dazioni di denaro.
Già all’epoca gli uomini dei clan avevano raccontato di essere riusciti spesso a entrare in possesso di notizie riservate, grazie ad alcune talpe negli uffici giudiziari. Situazioni che si son ripetute anche negli anni recenti, tanto che a Milella (che è il pentito più importante degli ultimi anni) è stato chiesto se fosse a conoscenza di rapporti privilegiati tra affiliati e forze dell’ordine. Fra le altre indicazioni date dal collaboratore c’è quella relativa a un contatto che esponenti dei Palermiti avevano nel Comune di Bari: “Ci sono amici nella Municipale, ma non so indicare i nomi… E poi Mino Fortunato aveva un amico nel Comune, faceva le carte di identità, quelle con i timbri, così se dovevi partire…”.
Anche i verbali più recenti di Milella sono pieni di omissis e su quegli atti l’attenzione della Dda di Bari è stata massima per evitare che il loro contenuto potesse essere divulgato. Sia quelli sia altri documenti sono stati criptati con chiavi in possesso di pochissime persone e senza le quali era impossibile accedervi, per evitare l’accesso indiscriminato a quei segreti. Come quello che venne effettuato nel febbraio 2020 dal carabiniere Nicola Soriano rispetto ai verbali che interessavano a De Benedictis. (Fonte Repubblica Bari) – in alto De Benedictis e Chiariello; sotto, Milella e il viestano Della Malva