Viene dal ristoratore lucerino Paolo Giuseppe Laskavj l’ennesimo grido di allarme che evidenzia una falla sui prestiti da 25mila euro del Cura Italia, che sulla carta dovrebbero essere erogati senza valutazione del merito creditizio, come mera iniezione di liquidità per le piccole e medie imprese e le attività commerciali e turistiche.
Lo chef ha scritto alle redazioni e ai sindacati. Ecco quanto si legge nel suo dettagliato resoconto.
Intendo evidenziare una grave incongruenza che sussiste tra quanto espresso dal Ministro dello Sviluppo Economico e quanto effettivamente sia previsto dal decreto in termini di possibilità ad accedere al prestito garantito dallo Stato fino a 25.000 euro.
In data 6 Aprile 2020, durante la conferenza stampa al termine del Consiglio dei Ministri n. 39, il Ministro Stefano Patuanelli affermava che i prestiti venissero concessi “privi di vincoli e di valutazione del merito creditizio” e ribadendo in data 27 Aprile 2020, durante l’intervista a Quarta Repubblica, “senza valutazione del merito creditizio”.
In contrapposizione con quanto appena riportato, ho purtroppo constatato sulla mia persona che, ahimè, anche in questo momento storico nel quale, a mio modesto parere, sarebbe opportuno rivalutare alcuni criteri ed avere più fiducia nei Cittadini e lavoratori italiani, le valutazioni del merito creditizio continuano ad essere presenti e vincolanti per molte persone ed aziende.
Facendo mie le parole dei giornalisti Flavio Bini e Raffaele Ricciardi nell’articolo del 17 Aprile 2020 su La Repubblica, all’atto pratico, l’ABI non può andare in deroga alla disciplina della Commissione Europea che esclude le aziende con crediti classificati “in sofferenza” o come “inadempienze probabili” e quindi pone tali imprese in un “limbo di merito creditizio”, senza considerare che in media ci vogliono 12 mesi di tempo per tornare ad essere classificate come “in bonis”.
Ed anch’io, oggi, mi ritrovo paralizzato in questo limbo normativo con la mia attività dal futuro incerto.
Mi presento. Il mio nome è Paolo Giuseppe Laskavj. Dopo 14 anni di lavoro alle dipendenze presso un gruppo alimentare nel settore molitorio, pastario e dolciario, nel 2000 l’azienda chiude, lasciandomi in Cassa Integrazione. Decido con mia moglie di investire tutto nell’apertura di una nuova attività di ristorazione. Nel 2003 apro “Il Cortiletto” nella mia città, Lucera (FG). Il tutto senza avere avuto la possibilità di attingere ad alcun finanziamento pubblico, ristrutturando, tra l’altro a mie spese, parte di un edificio comunale preso, tuttora, in locazione.
I motivi per il quale attualmente la mia azienda non può essere considerata “in bonis” per poter accedere al Finanziamento garantito dallo Stato risiedono fondamentalmente nei due seguenti punti: da un lato, per delle rate di mutuo scoperte al 31 gennaio 2020 e, dall’altro, per una sofferenza iniziale segnalata nel 2015 per 16.700,00 euro figlia della nota crisi economica dello scorso decennio.
A febbraio di quest’anno avevo già provveduto ad allinearmi con l’inadempimento delle rate che erano scoperte, versando alla Banca con cui ho contratto il mutuo un totale di 5.796,55 euro. Inoltre, il 4 marzo ho pagato per me e mia moglie la terza rata della rottamazione TER per un totale di 6.762,66 euro. Sempre a marzo, già in accordo con la Banca, avevo anche previsto di saldare finalmente la mia sofferenza con l’ultima rata rimasta di 3.200,00 euro. Per il resto, è storia nota a tutti: dal 10 marzo la mia attività di ristorazione è stata arrestata dal lockdown dovuto al COVID-19.
Attività che nel 2019 ha avuto un fatturato pari a 202.225,00 euro.
Attività che può imputarsi un mancato incasso presunto per i mesi di marzo, aprile e maggio 2020 di circa 50.000,00 euro.
Attività gestita e portata avanti orgogliosamente da me e mia moglie, lavorando duramente senza chiudere mai per ferie in questi ultimi anni, con la massima onestà, facendo fronte a tutti gli adempimenti fiscali e bancari (rottamazione TER, definizioni transitorie con le banche, cartelle esattoriali, INPS, ecc.) passo dopo passo.
In uno scenario come il mio, è facilmente deducibile come il Finanziamento statale sarebbe uno strumento utile, se non indispensabile, per permettere a me, come a tutti gli altri italiani del limbo, di avere la liquidità necessaria da utilizzare in ottica della prossima riapertura e per adempiere in maniera più serena ed umana a tutte le scadenze in corso e future, rimboccandoci nuovamente le maniche, nel mio caso, della giacca da cuoco.