“È stata una esperienza molto dura”. A parlare è Aldo Ligustro, ex preside della facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Foggia e presidente della Fondazione Monti Uniti che, in una lettera aperta alla città, ha raccontato il suo mese di convivenza con il Covid-19. Venti giorni di ricovero presso l’ospedale D’Avanzo prima delle dimissioni all’esito del doppio tampone negativo.
“Sono giunto quasi al termine del percorso, dico quasi perché sappiamo che questo virus è subdolo e imprevedibile e dovrò ancora scontare una quarantena di 14 giorni ed effettuare successivamente alcuni controlli – racconta il docente -. Voglio ringraziare, anche pubblicamente, una serie di persone, soprattutto tra i nostri colleghi medici, non solo per quanto hanno fatto rispetto alla mia personale vicenda, bensì più in generale per lo straordinario lavoro che svolgono in questa difficile lotta contro il Covid19. Ringrazio allora, innanzitutto, il Direttore generale del Policlinico Riuniti di Foggia, dottor Vitangelo Dattoli, per i preziosi consigli e per il concreto aiuto da lui ricevuto in diverse occasioni. Ringrazio l’amico e collega professor Gaetano Serviddio, da anni per me un riferimento importantissimo per ogni genere di problema medico, per la consueta disponibilità a rispondere a qualsiasi quesito, dispensando consigli e suggerendo soluzioni operative con grandissima competenza e con la lucidità e la rapidità di un vero fulmine di guerra.
Ringrazio la professoressa Rosi Prato – continua nella lettera – per la vicinanza manifestatami e per le brillanti capacità dimostrate nella guida del Dipartimento di prevenzione dell’ASL con l’aiuto di validissimi collaboratori. Tra questi ringrazio soprattutto il dottor Giuseppe Mazzotta, l’angelo custode’ che ha seguito e continua a seguire me e la mia famiglia nella fase di quarantena obbligatoria. Ancora una persona di elevata professionalità e, al contempo, squisitamente sensibile sul piano umano, tanto da favorire lo sviluppo di un autentico rapporto di amicizia, per il momento solo telefonico, che vorrei però in seguito rendere più diretto.
Ringrazio tutto il meraviglioso staff medico e sanitario, diretto dall’amica e collega professoressa Maria Pia Foschino, dell’ospedale D’Avanzo del Policlinico Riuniti di Foggia, dove si è svolta la fase più difficile di questa mia vicenda. Penso sinceramente, avendolo constatato, ahimé, di persona, che la professoressa Foschino, che Maria Pia, abbia compiuto un’impresa veramente titanica nell’allestire in pochissimo tempo, riadattando le strutture di questa antica sede ospedaliera, diverse unità Covid19 e una unità Post-Covid19 (o post-acuzie), superando problemi logistici e organizzativi enormi. Sul piano medico, da quel che posso da profano giudicare, credo ch’ella abbia sperimentato con grande successo, in maniera personalizzata rispetto alla sintomatologia dei singoli pazienti, le nuove terapie messe a punto per l’emergenza.
La professoressa Foschino e il suo staff sono stati poi semplicemente meravigliosi nel rapporto con i pazienti; e non intendo, ancora una volta, riferirmi solo al mio caso, ma ad ogni singolo paziente. La loro costante premura nell’ informarci sul nostro stato di salute, nel darci pazientemente tutte le informazioni e delucidazioni del caso, nel sostenerci e incoraggiarci moralmente e psicologicamente, è stato, ne sono sicuro, un preziosissimo elemento del successo delle cure mediche.
Anche sotto questo profilo, l’’impronta Foschino’ ha caratterizzato, come dicevo, tutto il suo staff medico e sanitario. Non ricordo il nome di tutti i medici che ho incontrato, e di alcuni conosco solo il cognome (mi scusino pertanto gli altri che non potrò singolarmente menzionare), ma desidero ringraziare espressamente, per tutti i motivi che ho detto, il dottor Roberto Sabato, il professore Donato Lacedonia, il dottor Tondo, la dottoressa Lodato, la dottoressa Cariello, il dottor Guadagno, la dottoressa Del Vecchio, più volte presenti in corsia, e sempre con grande professionalità e umanità. Ancora, le dottoresse La Torre e Di Salvatore, tra l’altro per come hanno comunicato a me e ad altri pazienti, in ansiosa attesa, la negatività, rispettivamente, del primo e del secondo tampone di controllo, mostrando in modo evidente nella loro voce come la guarigione dei propri pazienti fosse per loro motivo di grandissima soddisfazione professionale ma anche, ne sono convinto, di autentica gioia e commozione: come fosse la migliore ricompensa per il loro difficile lavoro.
Da ultimo, ma non per importanza, ringrazio quel piccolo esercito di infermiere e infermieri, di OSS, e anche il personale delle pulizie: gente in genere di giovanissima età, la cui apparizione, quali strani angeli in tenuta spaziale (da coronavirus), rappresentava, specie nella fase dell’isolamento, un importantissimo contatto col mondo esterno e un momento di intensa umanità. E’ stato toccante avvertire il trasporto, la vicinanza e spesso persino la sana allegria ch’erano in grado di trasmettere dietro quelle tute da extraterrestri, mostrando solo i loro occhi; occhi quasi sempre sorprendentemente simili (splendidi occhi di taglio e colore mediterraneo), sì da non costituire un sufficiente elemento di riconoscimento. Il bisogno di dare in qualche modo una identità a queste stupende persone, portava ogni volta noi pazienti a chiedere, con i toni di una celia ritualizzata o di un running joke, ‘Tu chi sei?’; ‘Ma come, non mi riconosci? Sono …’; ‘Sì, l’avevo capito; ma non ne ero del tutto sicuro'”.
“Con ciò voglio sottolineare – insisto – la mia meraviglia nel riscontrare in persone che svolgono un lavoro così duro, pericoloso, con turni massacranti, gaiezza, trasporto, vicinanza, solidarietà: balsami straordinariamente benefici nella condizione di fragilità e apprensione di tutti i pazienti.
Qualità ancor più apprezzabili in coloro – non pochi ho constatato – privi di un contratto a tempo indeterminato, spesso assunti per l’emergenza con contratti anche solo di due mesi, eppure animati da grandissima passione. Per tutti costoro ringrazierò nominalmente quei pochi di cui ricordi il nome e a cui abbia potuto chiedere un preventivo assenso a nominarli: Ivana, che mi ha accolto con tante premure nel momento e nei primi giorni del ricovero in isolamento; Luna, del reparto post-covid, che ha lasciato un posto a tempo indeterminato nel Nord Italia per un contratto di un anno, mossa dal desiderio di “aiutare la gente della sua terra”; Giuseppe, simpatico ed energico tuttofare, altro nume tutelare della fase post-acuzie. E chiudo qui, rivolgendo un pensiero a tutti gli altri.
Al di fuori dell’ambito universitario e medico – prosegue ancora -, ringrazio, infine, l’assessore comunale, ma soprattutto amica, Anna Paola Giuliani e il dirigente del Comune, ma soprattutto amico, Carlo Dicesare, oltre che per il loro partecipe affetto nei miei confronti in questa circostanza, per avere risolto (anche in questo caso non solo per me, ma nell’interesse generale) un problema di cui, dopo settimane di palleggiamenti tra diversi enti e istituzioni competenti, non riuscivo a venire a capo: il conferimento dei rifiuti ‘speciali’ delle persone e famiglie in quarantena obbligatoria. Un problema da non sottovalutare, perché il conferimento di questi rifiuti nei normali cassonetti pubblici potrebbe costituire un ulteriore veicolo di diffusione del contagio!
Scusatemi per il tono probabilmente troppo sentimentale (spero però giustificabile alla luce delle circostanze) – conclude -. Penso però anche che sia molto importante per tutti noi essere consapevoli, e fieri, delle straordinarie eccellenti risorse umane presenti della nostra università e nel sistema sanitario della città. D’altro canto, penso che sia importante trasmettere a chi, a partire dai nostri colleghi universitari, è impegnato in prima linea nel contrasto di questa terribile emergenza, tutto il nostro apprezzamento e la nostra riconoscenza, incoraggiandoli ad andare avanti. Rivolgo dunque ancora a tutti questi ‘eroi’ del momento un grazie dal profondo dell’anima”.