Esplode il bubbone dei rifiuti in Puglia. Dieci operatori privati in rivolta contro la decisione della Regione Puglia di affidare ad Aseco, società controllata di Acquedotto di Puglia, le attività di costruzione e gestione di impianti di trattamento dei rifiuti. Un’azione che per i ricorrenti rappresenterebbe una “Violazione dei principi e delle norme del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (art. 106) in materia di libero mercato e di concorrenza”.
Il piano industriale Aqp che la giunta regionale ha licenziato a dicembre ha previsto di affidare ad Aseco (in cui dovrà entrare anche Ager, l’Agenzia regionale sui rifiuti) circa 50 milioni di investimenti. Aseco dovrebbe anche assumere la gestione ordinaria dell’impianto di trattamento dei rifiuti solidi urbani di Cerignola, che ha già gestito in regime provvisorio per scongiurare l’emergenza.
Un’internalizzazione del servizio che ha scatenato la reazione di numerosi imprenditori. Nel ricorso al Tar Bari c’è anche la Maia Rigenera di Lucera, pronta a dare battaglia insieme al gruppo Co.Ge.Am, la Cisa s.p.a., la Biowaste, la Progeva, la Castiglia, la Puglia Recupero, la Newo, la Jonica Servizi e la Tersan, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Ida Maria Dentamaro, Elisabetta Righini (Studio Latham & Watkins di Bruxelles) e Vittorio Triggiani.
“Le società odierne ricorrenti – si legge nel ricorso – sono operatori qualificati nel settore della valorizzazione dei rifiuti, svolgendo, in tutto il territorio regionale pugliese, attività di gestione, lavorazione, riqualificazione, trasformazione, differenziazione, recupero e riciclo dei rifiuti, nonché produzione di CDR (Combustibile Derivato dai Rifiuti). Le varie società sono altresì specializzate nella progettazione, realizzazione e gestione di impianti complessi per il trattamento dei Rifiuti Solidi Urbani (RSU)”.
Mentre su Aseco spiegano che “ha già fruito per ben due volte di affidamento diretto della gestione mediante (illegittime) ordinanze contingibili e urgenti, a seguito delle quali la Cisa S.p.A. ha segnalato l’illegittimità perpetrata, ha diffidato la Regione a procedere mediante procedure di evidenza pubblica, come per legge e ha manifestato il proprio interesse a parteciparvi”.
E ancora: “Nell’ingannevole forma dell’approvazione del piano industriale di una partecipata (Aqp), che a sua volta punta per gran parte su attività di una sua partecipata (Aseco), la Regione realizza – secondo i ricorrenti – un abile gioco di scatole cinesi con il risultato di inserirsi, mediante la partecipazione indiretta in Aseco, nella gestione del ciclo dei rifiuti, in contrasto con l’ordine normativo delle competenze”.
Il piano in questione, quindi, rappresenta un tassello della complessa strategia volta a conseguire l’illegittimo obiettivo, più volte annunciato dal Presidente della Regione in varie sedi, di internalizzare tutte le attività di progettazione, realizzazione e gestione dell’impiantistica, inclusa quella di trattamento di materiali non rientranti nella privativa pubblica, sottraendole, per un verso, ai Comuni, per l’altro, al mercato.