Tiene banco l’arresto di Francesco Bellomo, l’ex giudice barese finito ieri ai domiciliari. Tra le ragazze che subirono pesanti avance c’è anche la 30enne di Cerignola, Rosa Calvi che frequentò la Scuola di Formazione Giuridica Avanzata Diritto e Scienza di Bellomo. La giovane avvocatessa ha affidato alle colonne del Corriere del mezzogiorno le sue sensazioni dopo la notizia: “Sono frastornata. Non me l’aspettavo. Attendo le carte per avere un’idea precisa, per ora so solo quello che ho letto online”.
La ragazza denunciò subito Bellomo: “Mia madre mia ha sempre detto che quando racconti la verità non ti ferma nessuno e puoi andare avanti a testa alta. Anche in questa vicenda ho fatto così. Non ho mai pensato di non espormi. Ho sempre studiato e lavorato per ottenere quello che volevo. Non ho mai preso scorciatoie”.
Il docente avrebbe imposto una sorta di ricatto sessuale alle corsiste, chiamate a firmare un contratto attraverso il quale si dava il consenso ad indossare abiti succinti e a seguire altri obblighi di natura sessuale e non solo.
“Non ho mai voluto firmare quel contratto – ha detto Rosa Calvi – ma anche con me ha tentato vari approcci. Ha anche cercato di baciarmi. Mi sono alzata e ho detto che dovevo andare da mio fratello e mi ha risposto che lui era più importante. Per più di un mese ha provato a convincermi dicendo che ero una stupida a dire no. Mi diceva anche che dovevo perdere peso e che dovevo fare delle punturine per le occhiaie. In seguito, vedendo che non volevo firmare mi mandò via”.
Di certo la 30enne cerignolana non abbandonerà il suo sogno che è quello di diventare magistrato: “Non bisogna permettere a nessuno di rubarci i sogni. Questa vicenda mi ha cambiata molto. Sono diventata più forte, una persona migliore”.
Il “codice” di Bellomo
Nel contratto che disciplinava la condotta delle vittime di Bellomo c’erano una lunga serie di obblighi come quello della “immediata reperibilità” e il “divieto di avere rapporti con persone con un quoziente intellettivo inferiore ad uno standard da lui insindacabilmente stabilito”. Alle corsiste era chiesto inoltre “di non sposarsi e di essergli fedeli per tutta la durata del ‘contratto/regolamento’ che disciplinava i ‘doveri’, il ‘codice di condotta’ ed il ‘dress code’”.
Secondo quanto emerso dalle indagini, Bellomo instaurò con alcune allieve “rapporti confidenziali e, in alcuni casi, sentimentali” e, “facendo leva sul rispetto degli obblighi assunti”, avrebbe posto in essere “sistematiche condotte di sopraffazione, controllo, denigrazione ed intimidazione consistite nel controllarne, anche nel timore che intrattenessero relazioni personali con altri uomini, le attività quotidiane, le relazioni personali e in genere le frequentazioni, anche attraverso il monitoraggio dei social network”, controllando foto e like ai loro post. Alle ragazze sarebbero stati imposti “la cancellazione di amicizie e di fotografie pubblicate”, l’obbligo di “indossare un determinato abbigliamento e di attenersi a determinati canoni di immagine, anche attraverso la pubblicazione sui social network di foto da lui scelte”. “Qualora il loro comportamento non corrispondesse ai suoi desiderata”, Bellomo le avrebbe “umiliate, offese e denigrate”, anche “attraverso la pubblicazione sulla rivista online della scuola delle loro vicende personali”. Le avrebbe anche minacciate “di ritorsioni sul piano personale e professionale” e di “azioni legali in sede civile e penale”.