Carcere duro per i boss foggiani Rocco Moretti, 68 anni, detto “il porco” e Roberto Sinesi, 56 anni, detto “lo zio”, entrambi al vertice della Società Foggiana. Il primo, capo indiscusso del clan Moretti-Pellegrino-Lanza, il secondo, nome di punta dei Sinesi-Francavilla. Entrambi più volte arrestati e beccati, quando già erano dietro le sbarre, anche nel maxi blitz “Decima Azione” del 30 novembre 2018.
Il ministro della Giustizia ha accolto la richiesta del ministro dell’Interno che poggiava sulle indicazioni della Direzione nazionale antimafia e della Direzione distrettuale antimafia di Bari disponendo per i prossimi 4 anni il “41 bis” (l’articolo dell’ordinamento penitenziario che instaura il carcere duro) per Sinesi, che è stato trasferito dal carcere di Palermo a quello di Rebibbia a Roma e per Moretti che era detenuto a Terni ed è stato portato nel carcere di L’Aquila. Sinesi è detenuto dal 9 settembre del 2016 ed è in attesa di giudizio per tre distinti processi. Moretti è di nuovo in cella dall’8 ottobre 2017 ed è sotto processo in due distinte vicende. L’applicazione del carcere duro, la cui finalità è evitare contatti tra mafiosi detenuti e complici a piede libero, prevede colloqui ridotti per il detenuto; posta censurata; ora d’aria lontano dai detenuti “comuni”; stretta sorveglianza della Polizia penitenziaria. Per Sinesi il “41 bis” non è una novità: vi è stato già sottoposto per circa 8 anni in periodi distinti, tra il ‘95 e il 2011.
L’applicazione del carcere duro è una conseguenza dell’inchiesta “Decima Azione” incentrata sulle estorsioni a Foggia. A entrambi la Dda di Bari contesta l’associazione mafiosa (Moretti risponde anche di concorso in un’estorsione da 25mila euro ad un’impresa edile, e il possesso di una pistola) quali “capi del sodalizio quali soggetti al vertice della rispettive batterie, costituenti articolazioni della ”Società Foggiana”, e preposti alla direzione del sodalizio ed all’assunzione delle scelte più significative sul piano delle strategie criminali”.
I difensori dei due boss mafiosi possono presentare ricorso al Tribunale di sorveglianza di Roma, contro la decisione del ministro della Giustizia di sottoporli al carcere duro che può essere rinnovato ogni due anni: in caso di rigetto dell’istanza, la difesa dei due boss può ricorrere alla Corte di Cassazione.