“Abbiamo realizzato un sogno”. Queste le parole pronunciate dall’assessora alla Cultura del Comune di Foggia Anna Paola Giuliani insieme al sindaco Franco Landella e al dirigente Carlo Dicesare al termine della recita della Fedora ieri sera al Teatro Umberto Giordano, gremito in ogni ordine di posto.
L’opera, del compositore foggiano amato in tutto il mondo, con Daria Masiero, Walter Fraccaro, Fabio Previati con direttore Ivo Lipanovic e la regia di Giandomenico Vaccari, che ha debuttato a Lecce, è stata a Foggia un vero trionfo, di partecipazione e di arte. Una scommessa sicuramente vinta per l’Ente comunale, non solo perché ha riportato in auge il nome di Giordano nella sua città di origine in questa 4 giorni di celebrazioni e in tutto l’anno dedicato in collaborazione col Mibac, ma anche perché ha ridato lustro a tantissimi giovani e maestranze locali che sognano di poter vivere di musica e di bellezza teatrale. Anche da una città di periferia come Foggia, nota alle cronache troppo spesso solo per la sua quarta mafia, può riscattarsi e produrre altissima cultura operistica. Nelle scene, nei costumi, nell’organizzazione, nella musica, nella musicologia, come è stato per il convegno internazionale.
Dopo l’Andrea Chénier e Giove a Pompei, continua il processo di apertura e coinvolgimento del pubblico attraverso il riconoscimento del Teatro quale epicentro culturale ed artistico del territorio.
L’orchestra sinfonica del Conservatorio “Umberto Giordano” e il Coro Lirico Pugliese diretto da Agostino Ruscillo si sono uniti ancora per rendere omaggio al grande compositore foggiano Umberto Giordano.
Fedora è opera in tre atti su libretto di Arturo Colautti tratta dal dramma di Victorien Sardou. La musica incalza l’azione, la asseconda, con rapidi fotogrammi.
La storia di Fedora ha lasciato incollati ai palchi i numerosi giovani presenti. Come ha scritto la professoressa Patrizia Balestra nell’elegante libretto redatto da Claudio Grenzi, la critica dell’epoca, dopo la recita del 17 novembre 1989 al Teatro Lirico di Milano, accolse l’opera di Giordano con entusiasmo, anche per merito di Enrico Caruso, il tenore protagonista. Il compositore aveva avuto coraggio a musicare un dramma di Sardou così “prolisso nel soverchio lirismo bizzarro” dopo il successo travolgente di Chénier.
Di certo, Fedora non è Chénier, è un’opera molto diversa e meno impattante. Meno attuale nella sua trama tardo romantica. È un’opera da fin de siècle, un romanzo passionale.
Il regista ha tentato di cogliere l’intelligenza operistica di Giordano e la sua intuizione sulle possibilità da linguaggio cinematografico. Un libretto da romanzo giallo si è tinto di tonalità noir nelle scelte di Vaccari, forse troppo poco insistite. L’apertura con lo sparo, il tormento di Loris, alcune altre trovate poliziesche, avrebbero potuto essere meglio gestite per restituire una lettura più moderna del dramma russo che si dipana tra San Pietroburgo, Parigi e la Svizzera. Ma sono dettagli, minuscole sbavature, che solo occhi e orecchie ipercritiche di melomani navigati e di spettatori teatrali consumati hanno saputo cogliere ieri sera.
I dettagli mancanti, senza i quali si sarebbe potuto raggiungere la compiutezza perfetta, sono stati un certo squilibrio tra le due voci protagoniste, col tenore troppo in parte e troppo “sparato” nell’Amor ti vieta e il soprano dalla sola perfezione vocale e meno “dentro” la sua eroina sfortunata dal punto di vista attoriale e la scenografia stupenda di Alfredo Troisi, ma per alcuni statica e soverchiante per il non grande palcoscenico del Giordano.
Il terzo atto è quello che più di tutti ha scaldato il cuore, illuminando anche l’immaginario grazie alle scene. L’opera è stata un crescendo, con un finale strepitoso. E un intermezzo suonato divinamente dall’orchestra. Da brividi.
“Nell’insieme la recita è stata buona, eccellente se si considera quanto speso e il livello dello sperpero che c’è altrove. Una produzione del genere, con quei colori, quei costumi ha costi eccezionali. L’Orchestra ha funzionato alla grande, è cresciuta nel finale. È un’opera difficile da cantare. Sostengo che non tutti si possono permettere la Ferrari, l’abilità è fare qualcosa che assomigli alla Ferrari. E qui il Comune ci è riuscito con grande maestria. Darei un bel 9 a tutta l’operazione. Dobbiamo augurarci che cresca sempre di più questo sentimento, c’è una grossa fascia di utenza che ama la lirica e che vuole vederla rappresentata a teatro. Dobbiamo crederci, magari anche anticipando l’orario delle recite per permettere ancora di più uno sviluppo delle attività commerciali”, è il commento a l’Immediato dell’ex direttore teatrale e grande melomane Enrico Sannoner.