Ha vinto la sua battaglia Alfredo Graziano, difeso dall’avvocato Oreste Di Giuseppe, contro il noto e influente geometra foggiano Lorenzo Gammarota, difeso dall’avvocato Carlo Alberto Mari. Colui che ha pianificato quasi tutta la città di Foggia negli anni Settanta ed Ottanta e ancora determina numerose operazioni edilizie è stato condannato per un falso.
I fatti risalgono al 2012-2013. A seguito della morte della madre, Alfredo Graziano nel provvedere alla successione aveva scoperto che un terreno materno aveva subito un accatastamento falsato, secondo il quale su una particella vi sarebbe stato ancora un immobile del tutto inesistente nella realtà.
Fu proprio Gammarota che nel 2012 mutò alcune particelle della Masseria Palmieri posseduta insieme ad altri dalla signora Rita Scopece, deceduta. Una Masseria che in quella particella andò distrutta sin dal terremoto del 1980. Il signor Graziano cominciò a reclamare che fosse accertata la verità dai vari uffici preposti. “Sul suo terreno non c’era nessun immobile”. Si arrivò pertanto ad un sopralluogo dell’Agenzia del Territorio, che verificò che non c’era nessuna unità collabente, nessun casolare, ma i due sopraggiunti tecnici sostennero in quella sede che non spettava a loro correggere l’accatastamento fasullo.
Graziano provò anche la strada dell’ordine professionale per vedere accertata la verità fattuale sul suo suolo. Nel novembre del 2013 pervenne alla segreteria del consiglio direttivo del collegio dei geometri una sua istanza che chiedeva all’ordine di accertare se vi fossero delle violazioni del codice deontologico in ordine ad un accatastamento illegittimo. “L’ordine accertò la violazione e sanzionò il geometra”, precisa oggi Graziano.
Si arrivò quindi alla causa penale e civile. Una causa durata oltre 5 anni, con molti colpi di scena. La giudice Rossella Grassi il 5 giugno del 2018 ha sentenziato la colpevolezza del geometra. Nella sentenza emergono anche le risultanze degli interrogatori ai vari tecnici che si sono succeduti sul terreno. Tra questi Michele Granatiero, dirigente dell’Agenzia delle Entrate, il quale ha dichiarato di aver eseguito un sopralluogo per conto della stessa nel quale rilevava “la difformità denunciata non rilevando la presenza del fabbricato sebbene fosse stato accatastato come unità collabente”. Nella sua testimonianza Granatiero osservò anche che non esisteva alcun obbligo di accatastamento, in quanto il fabbricato non forniva rendita catastale per cui l’accatastamento serviva solo a fini identificativi.
Ma in tale identificazione Gammarota ritenne di scrivere che esisteva una “tettoia malandata e dei residui di fabbricato rurale”, sebbene non si intravedessero resti di unità immobiliari sul terreno.
“Non è stato provato che al momento del sopralluogo del 2012 esistesse una tettoia in precarie condizioni e che la stessa sia stata sostituita in epoca successiva – si legge nella sentenza –. Ne consegue che risulta certamente dimostrato che l’imputato abbia commesso con il suo comportamento, attesa la sua qualità di soggetto qualificato ed esperto certamente a conoscenza della normativa di settore, il falso contestato. Le dichiarazioni presentate assumono funzione pubblica ed attestano fatti, nel caso di specie, relativi alla classificazione catastale dell’immobile destinati a provarne la verità”.
A parere della giudice non ci sono stati i presupposti per escludere la punibilità del fatto per particolare tenuità non potendo considerarsi esiguo “il pericolo scaturente dalla condotta dell’imputato a causa dell’oggetto del falso”. E ha rimarcato: “Risulta provata la realizzazione da parte del Gammarota di una condotta integrante tutti gli elementi costitutivi del reato a lui ascritto e pertanto ne va affermata la responsabilità penale”.
Gammarota è stato condannato a pagare 400 euro di multa oltre al pagamento delle spese processuali. È stata invece rigettata la richiesta risarcitoria avanzata dalla parte civile. Sul punto interviene l’avvocato Di Giuseppe: “Appare contraddittorio che in presenza di una sentenza di condanna il giudice non abbia ritenuto provato il danno subito dalla persona offesa. La persona offesa sta valutando l’opportunità di ricorrere al procuratore generale presso la Corte di Appello di Bari affinché autonomamente impugni la stessa”.
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