Confermato il 41 bis ad Armando Li Bergolis, boss di Monte Sant’Angelo. Dopo la decisione del Tribunale di sorveglianza di Roma che nel settembre 2016 rigettò il reclamo dell’avvocato dell’imputato contro il decreto ministeriale di proroga del regime differenziato, il capomafia aveva fatto ricorso in Cassazione. Ma in una recente sentenza, i giudici dell’ultimo grado di giudizio hanno messo la parola fine alla vicenda dichiarando il ricorso infondato. Il boss dovrà restare in regime di 41 bis destinato ai membri di clan mafiosi.
Rigettate le motivazioni di Li Bergolis che nel ricorso aveva spiegato come fosse venuto meno “il requisito dell’attualità della pericolosità sociale, evidenziando l’assenza di elementi recenti a suo carico, la mancanza di influenze del proprio nucleo familiare sulle vicende dello scioglimento del Comune di Monte Sant’Angelo e l’inconferenza dei riferimenti alla latitanza di Li Bergolis Franco”.
E ancora: “il Tribunale ha preliminarmente ricordato, quale dato oggettivo, le sentenze di condanna emesse a carico del ricorrente per associazione a delinquere di stampo mafioso aggravata ex art. 416 bis, comma 2, cod. proc. pen. nell’ambito del procedimento Iscaro-Saburo, per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, per estorsioni aggravate ex art. 7 D.L. n. 152 del 1991, la sottoposizione a sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, per la durata di anni tre nonché la sua posizione di capo del clan di stampo mafioso cosiddetto “dei Montanari”, attivo nel territorio garganico e nella provincia di Foggia”.
Stando sempre alla sentenza della Cassazione, “il Tribunale ha poi logicamente desunto la conferma dell’attualità del suo collegamento con l’ambiente criminale di riferimento dai seguenti elementi: la persistente operatività del clan, attuata grazie all’opera del reggente Enzo Miucci ed emersa da pronunzie giudiziarie e il recente scioglimento del Consiglio Comunale di Monte Sant’Angelo, scaturito da attività investigative condotte dalla DDA di Bari”. Evidenziato, inoltre, “l’incremento dei potenziali contatti con l’organizzazione alla luce della scarcerazione della maggior parte dei sodali, già sottoposti ad ordinanze custodiali in occasione di varie operazioni di polizia. Ai fini della proroga, d’altronde, è sufficiente la potenzialità, attuale e concreta, di collegamenti con l’ambiente malavitoso, che non potrebbe essere adeguatamente fronteggiata col regime carcerario ordinario, a prescindere dall’eventuale avvenuta dissociazione. Il ricorso, pertanto, va rigettato. Al rigetto del ricorso – si legge nelle ultime righe della sentenza di Cassazione – consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali”.
Il tradimento dei Romito e la gioia di diventare papà
Per Armando Li Bergolis è l’ennesimo duro colpo dopo il mancato indulto del novembre 2017. Insomma, niente sconti per il super boss, finito in carcere dopo “il tradimento” dei Romito (un tempo alleati ma poi acerrimi rivali), ritenuti confidenti dei carabinieri.
La sentenza di condanna per mafia dei Li Bergolis poggiò proprio su quelle intercettazioni, perché nel summit si discusse della morte violenta di un amico dei Li Bergolis di due mesi prima, di affari e dell’assetto del gruppo. “Un summit – scrissero i giudici nelle motivazioni della sentenza della Corte d’Assise – promosso dai Romito all’interno dell’azienda, luogo dove anche in altre occasioni c’erano state riunioni e dove i Romito erano ben a conoscenza dell’installazione delle apparecchiature sofisticate (microspie e telecamere) che consentirono agli inquirenti di seguire in diretta lo svolgersi dell’incontro. Una vera e propria trappola per colpire i Li Bergolis”.
Unica gioia per Armando Li Bergolis l’essere riuscito a diventare padre nonostante la detenzione. Nel 2014, infatti, il boss finì su tutti i giornali poiché, utilizzando la tecnica della procreazione assistita, realizzò il sogno di diventare genitore.