Camere dell’eco e polarizzazioni, fake news e shitstorm, sono solo alcuni dei nuovi paradigmi del mosaico della comunicazione social. Se ne parlerà ancora a Foggia il 16 dicembre, dopo la prima presentazione a Peschici l’estate scorsa, con Francesco Nicodemo, nel team dei comunicatori di Palazzo Chigi e già responsabile della comunicazione del Partito Democratico, con il suo volume “Disinformazia – La comunicazione al tempo dei social media”.
L’Immediato lo ha intervistato, alla luce della grande attenzione data a livello nazionale al fenomeno delle fake news e degli ultimi scontri ideologici.
Nicodemo, rispetto a qualche mese fa, è come se le camere dell’eco, soprattutto a destra, avessero rinfocolato la propria forza e la propria amplificazione. Ritiene che il pericolo di una deriva razzista e fascista, come qualcuno dice, sia arrivato già al suo culmine? Come giudica i fatti di Como e la dimostrazione di Forza Nuova sotto la redazione di Repubblica?
La polarizzazione può rendere palesi tendenze già presenti in maniera latente nella società, gli episodi dei giorni scorsi non vanno assolutamente sottovalutati e da antifascista da sempre, non posso che essere preoccupato.
Da un lato, diminuisce il peso dei media per i cittadini comuni, sempre più introiettati nel loro “Daily me”, dall’altro però cresce l’ostilità nei confronti dei giornalisti da parte di gruppi e movimenti. Come è possibile che le due cose vivano nello stesso tempo? Come mai tanta avversione per i “mediatori dell’interesse generale” se proprio i giornali oggi sono così poco seguiti e letti?
La rete offre a tutti la possibilità di accedere alle informazioni in maniera autonoma e diretta, ovvero senza la mediazione di altri soggetti come ad esempio i giornalisti. Anche questi ultimi operavano un filtro ma sono dei professionisti invece online, la selezione di ciò che ciascun utente legge è basata sugli algoritmi e sui propri interessi. Inoltre, fonti attendibili e non hanno la medesima visibilità. In altre parole il Web fornisce una mole di notizie, nozioni e informazioni, ma per tutta una serie di dinamiche quantità e qualità dell’informazione non si equivalgono. Quando lo si fa notare, evidenziando che il parere di un esperto e quello di un utente comune in rete acquisiscono la medesima visibilità e quindi credibilità, nasce il sospetto. Ci si fida più di ciò che pubblica l’amico o il collega rispetto a quello che viene veicolato dai media, dalle Istituzioni e da chi si occupa da anni di determinate materie a causa della sfiducia nei confronti di questi ultimi soggetti. Probabilmente non è la rete la causa di questa tendenza, semplicemente il Web l’ha resa palese. Come fare a riattivare un dialogo costruttivo tra pubblico e media, ma anche Istituzioni ed altri soggetti è un compito non più rinviabile, come ricreare un atteggiamento di fiducia è una sfida non facile ma di cui bisogna occuparsi.
“L’hanno rimasto solo”, ha titolato il Fatto Quotidiano. Che idea si è fatto dell’avventura di Matteo Renzi? Era davvero così inevitabile che andasse a schiantarsi in questo modo? Dalla rottamazione alla riesumazione di Silvio Berlusconi. Nel 2014, dopo le Europee, al Teatro San Carlo per la Repubblica delle Idee fu accolto con un entusiasmo mai visto nel centrosinistra. Come è stato possibile disperdere quel patrimonio di fiducia?
Non sono d’accordo con il termine schiantarsi, Matteo Renzi rappresenta ancora una figura che può dare tanto al nostro Paese, sono felice e orgoglioso della stagione di riforme che ha avuto l’Italia grazie al suo esecutivo e poi a quello di Gentiloni. Tutto quello che è stato fatto non può essere accantonato così e sono triste per l’occasione persa lo scorso anno di modernizzare le nostre Istituzioni. Se c’è un colpa per come sono andati gli eventi, credo che sia di tutti noi nell’aver ignorato i conflitti, nel non aver compreso fino in fondo il disagio delle persone, nel non aver ascoltato la rabbia dovuta alle risposte non date a tanti settori della società. Molto è stato fatto ma le aspettative erano elevatissime e molto altro c’era e c’è ancora da fare.
Quali errori comunicativi sono stati commessi? Si è investito poco nelle communities? Oppure si è dato sfogo ad una estrema semplificazione dello storytelling renziano? È stato troppo superficiale? Avrebbe dovuto ascoltare di più insegnanti, lavoratori e classi popolari?
Alcune pagine di Disinformazia si occupano della comunicazione del Partito Democratico, in particolare rifletto sull’ottimo risultato della campagna delle elezioni europee del 2014 e in un certo senso sulle differenze rispetto alla comunicazione del referendum costituzionale dello scorso anno. L’intento non è quello di esprimere giudizi ma di riflettere ed era inevitabile parlarne visto quello di cui mi sono occupato. Prendiamo ad esempio la campagna fatta per il 4 dicembre 2016, in quel caso abbiamo assistito a una specie di “uno contro tutti” dal momento che svariati soggetti della politica e della società si sono uniti attorno al “no”. In rete c’era uno squilibrio tra la parte che era favorevole e quella che era contraria alla riforma, con il prevalere di quest’ultima. Di solito in circostanze analoghe si prova a compensare moltiplicando le interazioni, attivando più community e influencer per coinvolgere volontari ed elettori online e offline. Se non c’è sufficiente partecipazione, se non c’è un’interazione pari a quella di chi propone una visione alternativa, il rischio è che la comunicazione assuma l’aspetto della mera propaganda. Per coinvolgere maggiormente è importante avere dei riscontri, favorire il dialogo e sono necessari community organizer che veicolino i messaggi dall’alto verso il basso e soprattutto viceversa, per avere un riscontro e una risposta e per portare la partecipazione dall’online all’offline.
Neppure il ticket con Maurizio Martina ha prodotto finora grandi risultati, anzi. Renzi avrebbe dovuto legarsi a personaggi più carismatici?
Stimo molto Maurizio Martina e non credo sia un problema di nomi o figure, peraltro tutte di altro profilo. Piuttosto viviamo una fase successiva a un periodo di grandi aspettative. Sono orgoglioso delle riforme prodotte dai governi Renzi e Gentiloni ma la percezione delle cose fatte non rispecchia la realtà, in altre parole molto è stato fatto ma l’insoddisfazione e la sfiducia dilagante sono tali che non sempre questo viene riconosciuto in maniera adeguata, come mai? Da dove trae origine questa sfiducia, non solo nei confronti del PD ma nella politica e in chi propone soluzioni e non si limita solo a elencare i problemi? Dovremmo riflettere su questo.
La democrazia diretta del M5S stenta a decollare, forse il sogno di Gianroberto Casaleggio è irrealizzabile. La forma di partecipazione web dei grillini appare oggi molto meno capillare di quella di Matteo Salvini, che potrebbe essere il vero fenomeno di queste elezioni. Crede che il M5S rafforzerà la sua presenza su internet nelle ultime settimane di campagna elettorale?
La tecnologia può favorire la partecipazione ma il rapporto tra la prima e la democrazia è molto complesso, ad esempio quando si lanciano petizioni o consultazioni online forse sarebbe il caso che le piattaforme, i dati e la proprietà degli stessi siano resi pubblici per garantire la massima trasparenza. Tuttavia la democrazia rappresentativa resta la miglior forma possibile e ridurre tutto a un like o meno degli utenti sarebbe troppo riduttivo ed eliminerebbe quel confronto, quella riflessione e quel compromesso costruttivo fatto di comprensione e accettazione tra le varie parti, che è vitale per i nostri sistemi politici. Su Salvini c’è da dire che molti hanno sottolineato la sua abilità nell’uso delle piattaforme social, in particolare di Facebook dove utilizza post discorsivi e commenta le notizie che accadono quasi in tempo reale. Non so come la Lega Nord e M5S useranno la rete durante la campagna elettorale ma occuparsi dei social network per un partito è importante per arrivare al maggior numero possibile di persone.
Nel libro, affronta i casi di Macron, Trudeau, Trump, Obama. C’è un leader nazionale o europeo che oggi comunica meglio degli altri? E se sì, chi è?
In politica non ci si può affidare solo ai leader che sono transeunti, però queste figure fungono da ponte tra la politica e le persone e per farlo devono possedere delle caratteristiche che è possibile riscontrare in Obama, Trudeau, Macron, Sadiq Khan e così via. Sono i nomi di cui parlo nella parte finale di Disinformazia, perché ciascuno di loro ha delle caratteristiche che servono a delineare la moderna leadership, quella che non si basa solo sul carisma ma sulla competenza, sull’empatia, su determinati modi di porsi nei confronti del pubblico, poi naturalmente su una spiccata abilità comunicativa e su molte altre caratteristiche che provo a descrivere.
Tentare di capovolgere la narrazione sulle banche per il Pd è stato l’ennesimo errore?
Sulle banche il discorso è complesso e sui media leggiamo notizie in merito ogni giorno ma non credo che parlarne o meno sia un errore o un punto di forza per il PD, sono ancora convinto del fatto che le persone vogliano sentir parlare di programmi e progetti per il Paese e quindi in sostanza di misure che incidono più o meno direttamente nella loro vita quotidiana.
Ci sono ancora strategie vincenti per il Pd per risalire dalla sensazione diffusa di sconfitta? Quali temi e parole d’ordine suggerirebbe da ghost writer?
Non parlerei di sensazione diffusa di sconfitta, sarebbe un problema non essere convinti di poter dare ancora molto all’Italia e non suggerisco parole da ghostwriter ma mi limito a fare delle riflessioni da elettore. Vorrei che il PD facesse di tutto per rappresentare la laboriosa ma diffidente provincia italiana, che si facesse carico ancora di più di chi corre il rischio della povertà e dell’esclusione sociale, che si interrogasse su come coniugare globalizzazione, innovazioni tecnologiche e tutela dei lavoratori. In breve, vorrei che ascoltasse le istanze di quei settori della società che rischiano di allontanarsi definitivamente dalla politica se non trovano un interlocutore. Bisogna superare il rumore delle polemiche, il cui effetto è spesso un muro contro muro tra comunità ed Istituzioni che può favorire l’emergere dei populismi o della tendenza al complottismo, perché al contrario abbiamo bisogno di far sentire tutti partecipi di un progetto per il Paese. Non bisogna evidenziare gli errori altrui perché si corre il rischio di passare per saccenti . Infine, bisogna evitare ogni alibi, ad esempio non metto in dubbio l’uso durante le campagne elettorali della disinformazione ma le elezioni non si vincono o perdono per questo.