di GRAZIA BONANTE FASSIOLA*
Il 25 novembre è passato e con la giornata per la eliminazione della violenza contro le donne, cala il sipario su un lungo elenco di banalità e retorica. Quello che più stride sono però le immagini, sequenze infinite di volti tumefatti e corpi accasciati a cui veniamo sottoposte ad ogni ricorrenza. Il messaggio mainstream, che non si sposta negli anni, ripropone all’infinito l’immagine della donna vittima. Vittima dei violenti, della mancanza di autonomia, dei ruoli, della gelosia, sempre e comunque vittima. Questa narrazione si ostina a non voler tener conto della voce del femminismo, che ormai da tempo, si alza per denunziare i limiti di una descrizione vittimizzante ed affianca ad essa l’immagine di donne forti , coraggiose, libere, che puntano sulla autodeterminazione, ponendosi lontane da ogni visione pietistica. Eppure questa voce resta laterale, si preferisce fare il conto delle vittime e analizzare le violenze subite dalla preistoria ad oggi dalle donne.
La descrizione minuziosa, quasi ossessiva dei maltrattamenti, degli squartamenti e del sangue campeggia sulla stampa e tiene la scena, senza mai cercare di storicizzare la violenza, come non esistesse un domani. In questa scia di sangue infinita si rischia di perdere di vista il problema nella sua completezza: le donne sono una immensa forza assoggettata ma non per questo meno potente. Attraverso il lavoro non retribuito delle donne, domestico e di cura, gli uomini hanno potuto costruire fortune e godere di grandi privilegi. L’economia sommersa delle donne ha contribuito a creare la accumulazione originaria del capitale, secondo la lettura della filosofa femminista Silvia Federici. Dunque il tema della violenza va inserito in un capitolo che passa attraverso categorie economiche: il lavoro gratuito che le donne sono state costrette a fare e sempre meno sono disponibili a fare. Solo in questo modo, intersecando fenomeni sociali a quelli economici riusciremo a fate un nuovo passo verso la estinzione della violenza maschile.
Analizzando ad esempio il rapporto tra violenza domestica e violenza pubblica, vedremo che il filo comune è la svalutazione della vita e del lavoro delle donne. Per sradicare il fenomeno c’è la necessità di costruire alternative che passino attraverso la retribuzione del lavoro femminile, fuori dalla gratuità e dall’assoggettamento. Sono consapevole che la violenza inizia quando una donna si sottrae ma sono sicura che la violenza finisce quando una donna si allontana abbastanza. Cominciamo allora a raccontare della nostra immensa forza, quella che tiene in vita il mondo. Quella forza che non si stanca di agire, nonostante la violenza, non si stanca di tessere relazioni, fare comunità, curare ferite, riprogettare l’esistente. La violenza non è un destino per le donne ma solo una condizione transitoria, dalla violenza si può uscire.
*giornalista e studiosa foggiana