Dall’Afghanistan all’Italia, è toccante la “fuga dall’inferno” di Atai Walimohammad, giovane interprete attualmente impegnato nello Sprar per minori stranieri non accompagnati di Rodi Garganico. Finora nulla è stato semplice. Prima la Questura di Lecce, poi un centro per minori, quindi il Cara di Foggia. Lì cerca contatto con gli operatori, ma sono evanescenti. Riesce a incontrare, però, un avvocato, Costantino Nardella, che lo sostiene. ?A Borgo Mezzanone altri afgani cercano ?di distruggere una sua scultura blasfema. Viene mandato a uno Sprar gestito dall’Arci. Lì conosce la Lia, l’associazione fondata nel 2015 per cui adesso lavora. Conosce sei lingue, collabora con le commissioni territoriali, ascolta le canzoni di Alessandra Amoroso. Ha urgenza di parlare: ci ha scritto questa lettera che pubblichiamo integralmente.
Sono Atai Walimohammad, ho 21 anni e vengo dall’Afghanistan.
Vivo in Italia dal 2013 e dopo aver ottenuto la protezione come rifugiato, lavoro come interprete e mediatore linguistico-culturale.
Il mio fratellastro è Atai Liaqat Ali, lui ha fatto l’università di medicina ed è medico.
Sono figlio di un medico, mio padre si chiamava dott. Atta Mohammad e fu ucciso dalla gente del mio villaggio. Ero così piccolo che non l’ho mai conosciuto.
Crescendo mi è nata la curiosità verso le foto ed i libri presenti in casa nostra e chiesi alla mia mamma “di chi sono queste foto ed i libri?”. Mia mamma mi disse che le foto ed i libri appartenevano a mio padre, e mi raccontò che mio padre fu ucciso da un Imam con l’aiuto della gente del posto.
Mio padre sempre consigliò alla gente del villaggio di non uccidersi per i vantaggi dei paesi stranieri e di mandare i loro figli e le loro figlie a scuola invece di farsi saltare in aria per andare in “paradiso”.
Da piccolo il mio sogno era di diventare uno psicologo come mio padre: di mattina frequentavo la scuola ed il pomeriggio andavo a fare i corsi di matematica, biologia, fisica, chimica e di scienza. La gente parlava sempre male di me e cercava di ostacolarmi, ma nonostante tutto questo non mi sono fermato ed ho continuato a frequentare la scuola.
Nel 2011 i talebani hanno aperto in una zona rurale, abbastanza lontano dal capoluogo, un centro di addestramento per i kamikaze, in cui veniva insegnato come farsi esplodere per Allah. Tutti i giovani ragazzi invece di andare alla scuola andavano alla madrassa (scuola coranica).
Nel 2012 ho aperto, con l’aiuto dei soldati americani ed il governo afgano, un centro per l’apprendimento dell’inglese e dell’informatica per bambini ed adulti nel mio villaggio, all’inizio non venivano in tanti, ma poi il numero è aumentato. Una volta a settimana venivano gli americani a fare la pattuglia nel villaggio ed io andavo sempre a parlare con loro. Un giorno gli americani mi portarono i libri, i quaderni, i tappeti, le sedie, le matite, le lavagne ed i tavoli per i miei studenti. il giorno dopo ho distribuito tutti i materiali agli studenti, ed ho convinto tanti padri che l’educazione è la migliore arma rispetto al fucile!
Il 12 febbraio 2012 ho fatto una scultura che assomigliava a Buddha e io insieme al mio fratello Atai Dostmohammad, l’abbiamo portata a scuola, era una cosa strana sia per gli insegnanti che per gli studenti, alcuni erano contenti di vederla mentre alcuni si sono arrabbiati! Mentre io e il mio piccolo fratello Atai Dostmohammad facevamo vedere la scultura agli studenti, è venuto l’insegnante di teologia ed ha cominciato a rompere la scultura e dopodiché ha incitato i ragazzi a picchiarci: sono tornato insanguinato a casa ed è cominciata a circolare nel villaggio una voce che io mi sono convertito al Buddhismo. Nel villaggio si è sparsa la voce che io fossi un’infedele.
Dopo l’episodio della scuola la gente ha smesso di mandare i loro figli al centro da me. E tutte le persone avevano dubbi su di me. Il 13 marzo 2012 gli americani hanno attaccato un gruppo di Talebani nel mio villaggio in cui sono stati uccisi 4 membri dei talebani.
Dopo l’attacco i talebani mi hanno accusato di essere una spia per gli americani e di essere convertito al cristianesimo, il comandante dei talebani insieme con la gente del posto sono andati a bruciare il centro in cui insegnavo, successivamente sono venuti a casa, mentre io ero fuori, e hanno torturato e picchiato tanto mio piccolo fratello Atai Dostmohammad che alla fine è stato operato ai testicoli a causa di punizione. Hanno rotto tutte le mie sculture e mi cercavano in tutta la casa. Tutto il villaggio ed i talebani volevano uccidermi. Sono riuscito a scappare nella provincia di Herat da dove ho lasciato subito, e definitivamente, l’Afghanistan. Il mio piccolo fratello, Atai Dostmohammad, invece una volta dimesso dall’ospedale ha cercato di frequentare la moschea non per Allah ma per la paura dei talebani. Nel 2015 mio fratello Atai Dostmohammad ha smesso di frequentare le madrassa ed ha voluto a fare gli stessi cose che facevo io. Tutti i giovani ragazzi del mio villaggio sono cambiati tanto con le parole del mio fratello Atai dostmohammad, il quale cercava di far capire alla gente che non è giusto farsi saltare in aria per andare in paradiso. “Non esiste paradiso, non uccidere per favore i bambini e le donne, e lasciateci il nostro diritto all’istruzione”.
L’imam del villaggio ha emesso un decreto in cui era scritto che il mio fratello si è “convertito al cristianesimo e sta cercando di far convertire i nostri figli: deve essere impiccato e lapidato davanti alla gente del posto e non deve scappare come suo fratello”.
Mio fratello Dostmohammad Atai mi contattò e mi raccontò tutta quella situazione, prima che la gente del posto ed i talebani andassero a catturarlo l’ho mandato via immediatamente dal mio villaggio e la mia mamma ha parlato coi trafficanti per portarlo in Italia da me. È arrivato in Bulgaria e dalla Bulgaria è stato portato in treno direttamente per la Germania, ha fatto la domanda di asilo e ora si trova a Monaco.
Il mio fratellastro, Atai Liaqat Ali, faceva il medico in un ospedale privato, e mentre si preparava per fare la specializzazione, fu avvicinato dai talebani che gli chiesero di lavorare per loro. Al suo rifiuto è stato minacciato di morte e gli è stato detto di non curare i governativi. Il suo ulteriore rifiuto si è tradotto in un rapimento in ospedale durante le ore lavorative. Al suo ennesimo rifiuto di collaborazione, ha subito torture tramite l’elettroschock ed è stato abbandonato sul ciglio della strada. Da quel momento la sua vita è cambiata: ha subito gravi danni al cervello ed è diventato menomato. Per farlo riprendere la mia famiglia lo ha portato in un ospedale in Pakistan dove ha trovato un minimo di sollievo con una cura antipsicotica. Durante la sua permanenza in ospedale, i talebani hanno bruciato sia il suo ospedale che la nostra casa e la mia famiglia ha deciso di allontanare il mio fratellastro dall’Afghanistan e fargli fare il viaggio verso l’Europa.
Adesso è riuscito ad arrivare in Italia dopo un viaggio difficilissimo per la sua condizione mentale e si trova in un centro per richiedenti asilo a Crotone; ancora manifesta i problemi derivanti dalle torture subite dai talebani ed ha paura di essere trovato dai talebani in Italia.
Anche il mio viaggio non è stato facile: ho viaggiato diverse volte sotto i cassoni dei TIR per potermi salvare ed ho attraversato diversi paesi. Appena arrivato in Italia la vita non era facile con una cultura così diversa.
Per integrarmi ho capito l’importanza di studiare e capire la lingua italiana e dopo qualche tempo ho cominciato a lavorare in Puglia (dove c’era il campo profughi che mi ospitava) con gli avvocati che seguono i migranti.
La mia passione per le lingue straniere mi ha portato a studiare ed imparare da solo diverse lingue straniere ed in seguito al corso per mediatore culturale, adesso lavoro con l’Associazione L.I.A. di Bergamo come interprete e mediatore interculturale nello Sprar per i minori stranieri non accompagnati a Rodi Garganico (FG) e nel frattempo sto facendo la laurea triennale in Scienze della Mediazione linguistica.
Qui ho trovato una nuova famiglia composta dai miei colleghi e dai ragazzi che ospitiamo, ai quali cerco di essere di esempio e di riproporre le attività che svolgevo in Afghanistan: collaboro nell’insegnamento dell’italiano e facciamo laboratori artistici.
Sempre per conto dell’Associazione L.I.A., con il mio collega Matteo Vairo (Responsabile dello sviluppo dell’Associazione L.I.A.) faccio parte dell’equipe che compone la Start Up di avviamento dei nuovi Centri di Accoglienza in apertura.
Qui mi trovo bene, il mio lavoro mi piace, mi sento libero di esprimere le mie idee e i miei interessi e posso vivere la fede nel modo in cui desidero… ancora sogno di diventare psicologo come mio papà!
Per quanto riguarda la situazione in Afghanistan, la prima cosa che vorrei dire è che la guerra non è tra noi afghani ma sono le potenze straniere che fanno il bello ed il cattivo tempo nel mio paese, da sempre. Io mi domando come mai i talebani non vengono ancora sconfitti? Da chi sono armati? E la comunità internazionale davvero vuole aiutare o contribuisce alla situazione di instabilità?
Da circa 17 anni la “coalizione” è in Afghanistan, ma sanno bene che tutto inizia in Pakistan, alleato degli USA e quindi non direttamente attaccabile.
Se volessero davvero aiutarci già l’avrebbero fatto ma ci sono troppi interessi economici di mezzo e a rimetterci sono solo i miei connazionali che non sanno neanche per chi o cosa combattono. Direi che questa guerra nessuno ci tiene davvero ad interromperla e le persone come me vengono accusate di essere “convertiti” ed infedeli quando vorremmo solamente vivere in pace ed esprimerci liberamente come negli anni ’70 quando le donne non indossavano neanche il velo e il diritto all’istruzione era libero; il tutto pur essendo in un paese musulmano. Questo a significare che il problema non è l’islam, ma gli interessi che girano intorno all’Afghanistan.