“Legami certi tra cooperativa Sanitaria Service e il clan Libergolis“. Il Consiglio di Stato ha dato così ragione alla Prefettura di Foggia, ribaltando la decisione del Tar Puglia. Lo scorso anno, ricordiamolo, il tribunale amministrativo aveva accolto il ricorso della cooperativa contro il provvedimento d’informativa antimafia ex art. 91 D.lgs. n. 159/2011, emesso dall’UTG – Prefettura di Foggia e il conseguente provvedimento di revoca dell’autorizzazione comunale all’esercizio della Residenza Socio-assistenziale per anziani “Villa Santa Maria di Pulsano”, gestita dalla cooperativa appellata.
“Con l’appello in esame – si legge nella sentenza del Consiglio di Stato -, si lamenta, mediante un unico – articolato – profilo d’impugnazione, l’erronea valutazione, da parte del Tar, delle convergenti risultanze istruttorie, in ordine al concreto rischio di condizionamento della cooperativa, da parte della criminalità organizzata”.
E ancora: “Il Tar ha considerato, quale elemento del tutto irrilevante, lo scioglimento del Consiglio Comunale di Monte Sant’Angelo per infiltrazione mafiosa, mentre tale aspetto risultava di assoluta rilevanza ai fini della esatta comprensione del contesto ambientale, gravemente compromesso, in cui operavano i soggetti coinvolti nella vicenda di cui si discute, anche alla luce dello stretto rapporto tra l’amministrazione comunale e l’area di attività della cooperativa ricorrente in primo grado.
L’appellante aggiunge che, all’epoca delle indagini poste a base della contestata informativa prefettizia, esistevano legami certi tra la Cooperativa appellata e il clan Libergolis, notoriamente implicato nell’attività tipica della criminalità organizzata operante in quell’ambito socio-economico. Tali legami emergevano da molteplici indici, ma andavano desunti soprattutto dalla circostanza dell’assunzione di alcune dipendenti, collegate, sia pure indirettamente, al predetto sodalizio criminale. Queste ultime circostanze, pure di evidente risalto, non erano state adeguatamente apprezzate dal Tar, sulla base di un’asserita mancanza di precedenti penali, relativi a tali persone. Ma l’incensuratezza di tali soggetti non avrebbe potuto elidere l’evidenza del collegamento con il menzionato sodalizio criminale.
Infatti, dall’insieme degli elementi raccolti dalla Prefettura, a cui si riporta l’Avvocatura dello Stato, emerge sia lo stretto collegamento tra il vicepresidente della cooperativa appellata Damiano Totaro (già vicepresidente del Consiglio Comunale di Monte Sant’Angelo) e Matteo Pettinicchio, persona contigua al clan dei “Montanari”, riconducibile, a sua volta, alla cosca Libergolis, sia il collegamento tra questi due soggetti e il presidente della cooperativa Pasquale Benestare.
Gli accertati vincoli non sono riconducibili a semplici incontri tra i soggetti – si legge ancora sulla sentenza -, quanto, piuttosto, alla circostanza dell’assunzione nella cooperativa, delle compagne del Pettinicchio e del Miucci, quest’ultimo, esponente di spicco e di sicuro spessore criminale dello stesso clan Libergolis.
Nella specie, entrambi i soggetti (Pettinicchio e Miucci) risultano essere stati tratti in arresto e sottoposti ad indagine di polizia giudiziaria, nell’ambito di varie importanti operazioni investigative. Il Miucci è stato poi condannato dalla Corte d’Appello di Bari, con sentenza del 25.01.2015, in quanto coinvolto nella latitanza del noto pregiudicato Giuseppe Pacilli. Anche la Scarabino (compagna del Miucci e dipendente dell’appellata cooperativa) è risultata a sua volta coinvolta nel procedimento penale n. 3243/011R.G. del Tribunale di Foggia, per il reato di favoreggiamento della latitanza del pregiudicato Franco Libergolis e, inoltre, compare, insieme al predetto Miucci, nella richiesta di misure cautelari avanzata dalla D.D.A. di Bari”.
“Non possono essere ritenuti irrilevanti – è riportato ancora nel documento -, contrariamente a quanto affermato nella sentenza appellata, alcuni episodi di intimidazione subiti dalla cooperativa: episodi consistenti nella esplosione di vari colpi di arma da fuoco contro la saracinesca dei relativi locali adibiti ad uffici. Si tratta di un fatto non episodico, indice anch’esso delle interferenze tra l’attività della cooperativa e le vicende legate all’operato delle organizzazioni malavitose della zona (…)”.
I giudici della terza sezione del Consiglio di Stato, presidente Marco Lipari, hanno quindi accolto il ricorso del 2017 della Prefettura di Foggia contro la Società Cooperativa Sociale Sanitaria Service, per la riforma della sentenza in forma semplificata, del Tar per la Puglia – sede di Bari: sezione II, n. 00702/2016, resa tra le parti, concernente informativa antimafia.
La replica
“È una sentenza ingiusta, atroce – ha detto Damiano Totaro, sentito dal quotidiano online statoquotidiano.it -. La sentenza parla solo del primo grado dove accusano i rapporti di frequentazione. Avendo acquisito gli atti processuali ho avuto modo di conoscere i fatti e loro si sono limitati ad un incontro dove io ero al bar. Con mio cugino non ci facciamo nemmeno gli auguri di Natale (riferendosi a Matteo Pettinicchio). Sono amareggiato dalla sentenza perché era inaspettata in quel modo. Inaspettata perché non ci sono motivazioni di fondo. Si vede – prosegue Totaro – che proprio hanno smontato la sentenza in primo grado dove era molto chiara. Se quella è la linea del prefetto dovrebbero chiudere tutte le società in-house presenti nella provincia di Foggia. La sentenza non ha motivazioni per chiudere la struttura e va a discapito dei lavoratori e di chi c’è all’interno come gli anziani. Ne prendo atto ma non la condivido”.
“È dura. Il Consiglio di Stato ha emesso la sua sentenza – ha commentato Pasquale Benestare -. Ce l’aspettavamo, tant’è che è stata accolta immediatamente la sospensiva. Quindi, di fronte a una posizione del genere i nostri avvocati ci avevano già preannunciato il tutto, sperando nel contrario. Per me è una sentenza politica. Succede questo, che praticamente arriveranno delle misure straordinarie come previsto dall’articolo 36 dell’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione, ndr) e nomineranno un commissario che condurrà l’azienda in liquidazione – ha precisato Benestare-. Il tutto nasce perché il vice presidente è cugino a un delinquente di Monte (riferendosi a Matteo Pettinicchio). Ma qui a Monte le parentele sono frequenti”.
“Io sono una persona che viene dalla campagna – ha spiegato ancora Benestare a statoquotidiano.it -, dalla terra, con genitori agricoltori che son mancati prematuramente. Sono figlio di un agricoltore e con queste esperienze ho capito che chi è come me, non può fare l’imprenditore. Noi abbiamo sguinzagliato i migliori avvocati del foro locale. Ed anche loro sono rimasti sconvolti per la sentenza. Nella sentenza i giudici hanno scritto cose già note, ovvero hanno descritto lo scenario del Gargano, dei fatti di mala. Cosa c’entro io con ste cose? Io quelle persone (riferendosi agli affiliati dei clan, ndr) non le conosco se non in fotografia. Stanno distruggendo Monte e la sua immagine. Ritornerò al mio lavoro ma mi dispiace per quelli che perderanno il lavoro, che ricordo sono 38 ora e 15 già a casa. Da questa esperienza ho imparato che se lo Stato vuole ti viene a prendere e che per fare impresa bisogna essere furbi. Ma se volevo fare il furbo, allo scopo di delinquere, avrei messo all’interno della società la mia famiglia, esponendola a rischi? Non credo proprio, perché un padre tutela la famiglia”.