Mare, sole e… fortuna. Termini secchi, definitivi, che si susseguono sui capricciosi lineamenti del Promontorio a disegnare il dna di una terra. E di una famiglia. Peschici e Lamargese. La bussola della storia locale si è polarizzata diversamente dopo il sistema “Jack”, quella combinazione di numeri che da una piccola ricevitoria del centro ha cambiato il sentiero intrapreso negli anni Settanta, epoca di grandi migrazioni economiche dalla Germania e dall’Olanda, nel solco ideologico sfociato nell’ambientalismo degli anni Novanta.
Sessantatré miliardi di lire possono cambiare il destino. Soprattutto se a strappare il bottino del concorso nazionale è un’intera comunità. La folta vegetazione incastonata tra insenature mozzafiato e i coraggiosi trabucchi, si sarebbero inclinati, lentamente ai nascenti desideri partoriti nella ricevitoria “Mille cose”.
Il 31 ottobre 1998 piovono tra le mani di Mimì Lamargese le 99 quote che segneranno il destino delle circa 4mila anime di Peschici. Il “6” al Superenalotto è da record in Italia e in Europa, il giro di boa della storia degli emigranti che hanno finalmente l’occasione di tornare a investire – e vivere – nell’amara terra dell’abbondanza sprecata. Più di 630mila euro a testa per riprendersi il luogo natio ceduto – spesso svenduto – all’intuito nordeuropeo.
Proprio da una signora tedesca arriva l’occasione per tornare all’ingegno degli avi. Sessanta casette bianche, a pochi passi dalla spiaggia – e da una caletta splendida limitata da due trabucchi – sono lì, in attesa di segnare il giro di boa per questo pezzo di Gargano tra Vieste e Peschici. “Abbiamo deciso di investire nella nostra terra, acquistando questo residence e gestendolo tra cugini”, ci spiega Carlo Lamargese che attualmente, insieme a Vincenzo De Nittis, coordina le attività del complesso M3 e dello splendido locale Camavitè. “Molti hanno dilapidato quelle ricchezze, altri hanno investito e continuano a raccogliere i frutti di quel giorno fortunato – racconta Lamargese -, nel nostro caso è stata decisiva la tradizione familiare nel turismo, intrapresa da mio nonno negli anni Sessanta”.
L’incendio di nove anni fa, che distrusse gran parte della macchia e delle strutture turistiche, mise a dura prova molte delle sfide di chi ha deciso di metter tutto nella propria sfida imprenditoriale. “Siamo ripartiti senza nessun aiuto, eppure ci avevano promesso molte cose, ma a darci una mano è stata solo la natura con la sua ripresa rigogliosa”, ci spiegano. Le fiamme alte correvano veloci, lambendo la costa a pochi metri dal mare spinte dal vigore infernale delle lingue di fuoco provenienti dall’entroterra. Dal trabucco di Manacore si poteva scrutare un futuro infausto, fatto di cenere e dolore. Al di là dell’insenatura, il corpo gemello legnoso stava per essere travolto dalle fiamme, prima del colpo di scena: il vento decide di cambiar direzione, mettendo fine alla distruzione. Nella terra della fortuna si può ripartire anche così.