La richiesta dell’accusa è di 3 anni di reclusione per il marocchino di 29 anni che avrebbe travolto e ucciso il diciannovenne Giancarlo Ravidà a Prato in via Valentino. Il giovane di origini foggiane, figlio di un medico dell’ospedale di Prato, fu trovato agonizzante in mezzo alla carreggiata e in un primo momento si pensò che potesse essere stato vittima di un’aggressione, ma ben preso si capì che era stato investito. Il conducente dell’auto, un giovane nordafricano ora difeso dall’avvocato Leonardo Pugi, si costituì due giorni dopo raccontando di essersi soffermato qualche decina di metri più avanti, di aver aspettato l’arrivo dell’ambulanza e di essersi poi allontanato senza dire a nessuno che era stato lui a investire il diciannovenne.
L’accusato ha sempre sostenuto di essersi trattenuto a lungo sul posto prima di andarsene, per evitare l’accusa di omissione di soccorso. La parte civile per i familiari di Ravidà, rappresentata dall’avvocato Luca Branchi, ha sottolineato che dalla perizia risultano alcuni elementi decisivi: l’auto aveva 25 metri di visibilità e il suo tempo di reazione sia stato di 1 secondo e 8 decimi, ben superiore a quello standard. Inoltre avrebbe deviato a sinistra colpendo il giovane con la parte anteriore destra dell’auto. Per questo è stato richiesto un risarcimento di 200mila euro a testa per i familiari.
Giandomenico Ravidà, padre di Giancarlo, è convinto dell’omissione di soccorso, come evidenziato dalle dichiarazioni riportate dal Tirreno: “Quell’uomo si è fermato solo per sentire cosa diceva la gente sul posto – dice in una pausa del processo – e per capire se lo avevano visto. Poi si è costituito perché ha capito che lo avevano individuato grazie alle telecamere”.