Niente Cardiochirurgia a Foggia? Il sindacato Usb: “Negli anni tante promesse dalla politica…”

E’ notizia di questi giorni, per la verità riportata da poche testate giornalistiche, ma non per questo meno allarmante, che la Cardiochirurgia sarà attivata definitivamente presso l’ospedale Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, a partire, pare, già dal mese di aprileQualora la notizia dovesse essere confermata, è del tutto evidente che lo scenario, prospettato qualche settimana fa a livello regionale è completamente ribaltato.

Non si spengono, infatti, ancora gli entusiasmi che allora hanno giustamente contagiato i rappresentanti politici del nostro territorio, la dirigenza aziendale, l’Università di Foggia, allorché, durante la conferenza stampa di fine anno, tenutasi presso la Regione Puglia, il governatore Michele Emiliano, dichiarò, urbi et orbi, la certezza dell’istituzione della struttura di Cardiochirurgia all’Azienda Ospedaliero – Universitaria di Foggia. Adesso è necessario fare qualche semplice considerazione.

Sono moltissimi anni che si parla di Cardiochirurgia a Foggia, con promesse e impegni assunti dagli organi istituzionale, spesso disattesi e contrastati adducendo ragioni economiche e burocratiche. L’Azienda Ospedaliero – Universitaria di Foggia, secondo Policlinico della regione Puglia, soffre in maniera ingiustificata di un grave squilibrio nella distribuzione dei poli cardiochirurgici, se consideriamo l’attuale istituzione di quattro poli a Bari, due a Lecce, uno a Brindisi e uno a Taranto.

Il protocollo d’intesa, stipulato tra la Regione Puglia e l’Università di Foggia prevede un reparto di cardiochirurgia negli Ospedali Riuniti, tant’è che la facoltà di Medicina ha da diversi anni e precisamente dal 2006, in organico un professore associato di cardiochirurgia.

Ricordiamo inoltre che le caratteristiche orografiche della Capitanata, ponendo la stessa come seconda provincia d’Italia per estensione territoriale, con 61 comuni e 640.000 abitanti, che abbraccia anche parte del territorio della BAT, rappresentano già di per sé una opzione inoppugnabile per essere sede di polo cardochirurgico.

E’ da rilevare, peraltro, che l’assenza di tale attivazione produce naturalmente i processi di mobilità passiva extra territoriale e extra regionale che incidono in maniera importante, a fronte dei ricavi che ne deriverebbero, invece, dalla istituzione del polo cardichirurgico, oltre a ciò, non secondario per importanza, si eviterebbero i disagi che affrontano i pazienti costretti ad intraprendere i cosiddetti viaggi della speranza.

Quali ulteriori motivazioni bisogna aggiungere perché la Capitanata debba disporre di un polo cardiochirurgico e, ovviamente, la possibilità di accedere a tutte quelle procedure che girano attorno ( Emodinamica, impianto di valvole mediante catetere, estrazione di cateteri infetti e mal funzionanti, angioplastiche coronariche complesse ecc. ).

Tutte attività che rientrano nell’alveo di un processo complessivo di innalzamento del livello di eccellenza del secondo policlinico della Regione Puglia. Ma la domanda che si impone è quella di conoscere, per quanto possibile, qual è la ragione politica per la quale si predilige guardare ad una struttura privata, peraltro collocata in posizione geografica tutt’altra che baricentrica, piuttosto che una struttura pubblica. Questa opzione sembra voler aggiungere un altro tassello al progetto di smantellamento del sistema sanitario pubblico a favore del privato accreditato. Siamo legittimati a pensare che tale scelta sia sostanzialmente coerente con l’orientamento assunto in questi giorni, dal governo regionale, attraverso il Piano di riordino.

Infatti osservando le cifre fornite in occasione della audizione in Terza Commissione, del presidente Emiliano, in Puglia il costo totale dell’assistenza sanitaria – dato 2014 – ammonta a 3,6 miliardi di euro di cui 700 milioni ai privati accreditati. Orbene non solo questi ultimi non sono soggetti ai sacrifici imposti con il suddetto Piano, ma addirittura, come nel caso di specie vengono gratificati. Né può costituire un alibi ragionieristico la mancanza di 2,5 milioni di euro che sarebbero necessari per finanziare il costo dell’attivazione del polo specialistico.

Sarebbe sufficiente avviare una vera e propria politica di programmazione sanitaria che parta dai dati epidemiologici per incidere e risparmiare parte dei 220 milioni di euro che vanno via per mobilità passiva. Se invece, a fronte di sforamenti economici, riduzione di posti letto, chiusura di ospedali, compatibilità economiche, finanziamenti dello Stato al SSN sempre più ridotti, si è maturata una idea diversa e cioè che il privato è meglio, sarebbe opportuno però dichiararlo pubblicamente, ad iniziare ovviamente dai soggetti politici ed istituzionali.

Mentre sulla direzione generale dell’Azienda ospedaliera, che attualmente non smentisce né conferma tale notizia, pesa evidentemente una manchevole capacità rivendicativa ed una volontà rassegnata e rinunciataria, comportamento questo, oltremodo insufficiente per preservare al meglio, sia il principio di difesa del sistema pubblico che le istanze legittime di un territorio.

 

Antonio Bonanese
p. Esecutivo Provinciale Confederale USB