Quasi 51 milioni di euro per curarsi fuori provincia e una spesa farmaceutica senza controllo. Il piano per il prossimo triennio messo a punto dal management degli Ospedali Riuniti di Foggia è pieno di ombre. Negli ultimi tre anni il numero degli accessi al Pronto soccorso è aumentato in maniera netta, e non è un caso che ben l’81 per cento dei ricoveri provenga proprio da questa “porta” di ingresso. Una pezza potrebbe arrivare dalla costituzione del dipartimento di emergenza-urgenza e da quello chirurgico. Un’altra parte corposa dei ricoveri ordinari arriva invece dal territorio (il 60 per cento), fenomeno che riduce fortemente la soglia dei drg chirurgici ordinari (raggruppamenti omogenei di diagnosi, un standard per catalogare le prestazioni effettuate) sotto il limite previsto dalle best practices. Gran parte di queste prestazioni è considerata “inappropriata” (il 40 per cento), provocando uno sperpero importante di risorse pubbliche e, soprattutto, facendo abbassare la qualità complessiva dell’offerta sanitaria. “Si registra un elevato livello di domanda assistenziale inappropriata – scrivono da via Pinto -, migliorabile all’interno con una decisa azione di definizione di protocolli tra le varie strutture e, soprattutto, attraverso una maggiore sinergia con i medici di medicina generale”.

Fenomeni da arginare secondo le linee guida del direttore generale Antonio Pedota, che ha firmato (assieme al direttore sanitario Laura Moffa e all’amministrativo Michele Ametta) il “piano delle performance” fino al 2017, ovvero il documento che fissa gli obiettivi per tutti i dipendenti dell’azienda ospedaliero-universitaria. Le grane, fino ad allora, saranno molte. Nel frattempo, alcuni reparti non funzionano adeguatamente, se è vero che i parametri Lea (Livelli essenziali di assistenza) spesso non sono garantiti. E se, com’è stato registrato dal programma nazionale “Esiti”, il tasso di mortalità per la frattura al collo del femore nel 2013 è stata dell’11,4 per cento (a 30 giorni dal ricovero) rispetto alla media nazionale del 5,7, ci sarà parecchio da lavorare. Nel 2012 a Foggia era all’8,3%.
Lo stesso discorso vale per i parti cesarei, che in via Pinto continuano ad avere un’incidenza troppo alta (35 per cento) rispetto ai parametri nazionali, che impongono di scendere al di sotto del 20 per cento. Mentre la spesa farmaceutica – vero tallone d’Achille in Puglia – continua a lievitare pericolosamente: tra il 2013 ed il 2014 è aumentata del 19,4 per cento, portando i costi da 9,1 a 10,4 milioni di euro. Il peso della fuga verso altre province per curarsi continua ad essere un esodo, nonostante il piccolo miglioramento degli ultimi anni. A fronte infatti di un aumento dei ricoveri ordinari in mobilità attiva (pazienti che da fuori vengono a curarsi agli OO.RR.), passati da poco più di 1000 nel 2012 a 1229 nel 2014, continua a registrarsi una spesa troppo elevata per la mobilità passiva: 50,8 milioni di euro.
Su tutto questo pesa la penuria di personale. Difatti, secondo il Protocollo di intesa Regione Puglia-Università, che costò le dimissioni dell’allora direttore sanitario Deni Aldo Procaccini, mancano all’appello 103 dipendenti, di cui 32 medici e 34 infermieri. La situazione gravosa si ripercuote sui carichi di lavoro e, ancora una volta, sulla qualità dell’offerta. La produttività è scesa perciò di molto, favorendo ancora una volta la fuga per le cure. La prima battaglia di Pedota con la Regione guidata da Michele Emiliano sarà dunque quella del budget. L'”ospedale di riferimento del nord della Puglia”, così come è stato ribattezzato a Bari, è ad un bivio: o fa il salto di qualità o scoppia. La decisione spetta alla politica.