Il tempo delle condanne per i boss del Gargano. Nel processo per l’inchiesta “Rinascimento” durante la quale venne arrestato il latitante Giuseppe Pacilli, il 13 maggio del 2011, si è arrivati alle prime condanne. Pacilli, detto “Peppe u’ montanar“, sparito dalla circolazione a marzo del 2009 dopo essere stato condannato ad una pena di undici anni di reclusione per cumulo pene, è stato condannato a dieci anni per estorsione ed armi. Caduta, invece, l’aggravante del metodo mafioso, come già successo per il processo “Medioevo” a Vieste che vedeva imputati gli uomini del clan Notarangelo.
Otto anni di reclusione per estorsione a Matteo Pettinicchio: anche per lui esclusa l’aggravante del metodo mafioso. Assolto dall’accusa di estorsione aggravata dalle modalità mafiose anche Giuseppe Silvestri. Infine, assoluzione dall’accusa di favoreggiamento per Pasquale Starace e Salvatore Ferrandino.
Pacilli era tra i latitanti più pericolosi d’Italia
Era il 13 maggio 2011 quando beccarono Giuseppe Pacilli, alias “Peppe u’ montanar”, uno dei trenta latitanti più pericolosi d’Italia. Giuseppe Pacilli era un vero boss. Molto diverso nell’aspetto dalle ultime foto segnaletiche scattate alcuni anni prima. Per anni era riuscito a restare nascosto tra i boschi del Gargano. Più volte sfuggì alla cattura grazie ad una conoscenza del territorio che hanno solo gli allevatori del posto. Pacilli era evaso dagli arresti domiciliari nel 2008 e da allora era ricercato. Era stato inserito nell’elenco dei 30 latitanti di massima pericolosità del Ministero dell’Interno, e indicato dagli inquirenti prima come ex autista e uomo di fiducia del capo clan Francesco Libergolis, detto ‘Ciccill’, ucciso nell’agguato di ottobre 2009, poi braccio operativo del successore Franco Libergolis, nipote di Francesco.

Dopo l’arresto di quest’ultimo, avvenuto ad opera dei carabinieri, a seguito di un’altra lunga latitanza, Pacilli aveva assunto il comando del clan Libergolis, gestendo soprattutto il settore delle estorsioni che incide pesantemente sul tessuto economico dell’area garganica. “Peppe u’ montanar” era stato arrestato nel 2004 nell’ambito della famosa operazione “Iscaro Saburo”, per i reati di mafia, estorsioni ed armi. Il 23 giugno 2004 nel blitz, oltre a Pacilli, vennero arrestate altre cento persone presunte affiliate ai clan della faida. Dopo il maxi processo, a luglio 2008, era arrivata la sentenza, clamorosa, della Corte d’Appello di Bari che gli aveva concesso gli arresti domiciliari. Pacilli ne aveva subito approfittato per darsi alla macchia. Il processo scaturito al blitz “Iscaro Saburo” accertò la presenza, a partire dalla fine degli anni settanta, di due clan contrapposti: i Libergolis-Romito (dal 2009 non più alleati, ma nemici) e gli Alfieri-Primosa.
Il 21 aprile 2009, il boss Franco Romito e il suo autista Giuseppe Trotta vennero crivellati nella loro auto a Siponto. Franco Romito venne trovato con il volto completamente sfigurato e senza mano sinistra. Franco Romito potrebbe essere stato ucciso perchè, per anni, con i suoi familiari, era informatore dei carabinieri per molte indagini sulla famiglia mafiosa del clan opposto Li Bergolis. Pacilli è stato uno dei protagonisti della cosiddetta “faida del Gargano”. Sul promontorio esiste una mafia arcaica e violenta, fatta di pastori e masserie. Le attività maggiormente redditizie dei clan garganici sono il traffico di droga e armi, oltre al racket delle estorsioni. Anche per ragioni geografiche il controllo del territorio è assoluto. Le cosche sono note anche perché hanno prodotto, nel corso di una trentina d’anni, circa cento omicidi, di cui alcuni commessi e ordinati proprio da Giuseppe Pacilli.