“La fornitura dell’ormone della crescita, effettuata attraverso le sette farmacie territoriali dell’Asl di Foggia, non è stata mai interrotta per i pazienti già in trattamento, ai quali è stata sempre garantita la terapia prescritta”. L’azienda guidata da Attilio Manfrini risponde così al caso sollevato negli ultimi giorni dalle famiglie di bambini affetti da una particolare forma di nanismo, ai quali sarebbe negata la cura ormonale da settembre. “Diverso il caso dei pazienti naive (pazienti mai precedentemente trattati o per i quali ci sia stata una lunga interruzione temporale nell’esposizione al farmaco), in quanto la delibera di Giunta regionale numero 216 del 2014 dispone, infatti, esclusivamente per i pazienti naive, che la scelta prescrittiva debba ricadere sul farmaco biosimilare, prevedendo motivi di deroga (e quindi la prescrizione del biologico originatore) nei casi di una documentata inadeguata risposta clinica del paziente, in termini di tollerabilità e/o efficacia ad un precedente trattamento con il biosimilare”.
Secondo l’Asl, alcuni piani terapeutici per pazienti naive rilasciati dal reparto di Pediatria dell’Azienda ospedaliero-universitaria OO.RR di Foggia non sono risultati in linea con le motivazioni di deroga previste dal provvedimento deliberativo regionale e, pertanto, limitatamente ad alcune particolari situazioni, non è stato possibile erogare quanto prescritto. “La Regione Puglia – continuano da Piazza della Libertà – si è già espressa nel merito, con apposita nota inviata in data 27 ottobre 2014 al direttore del reparto degli OO.RR di Foggia nonché alle direzioni generale e Sanitaria dello stesso Ospedale, confermando tutto quanto disposto in Delibera ed invitando il clinico a fornire documentazione scientifica tesa ad avvalorare le sue autonome valutazioni, finora non pervenuta. Appare evidente che l’area farmaceutica dell’Asl non è nella posizione di decidere in autonomia né tantomeno ha potere autorizzativo, ma è chiamata ad operare un controllo delle prescrizioni e, soprattutto, ad attenersi scrupolosamente a quanto disposto dalla norma regionale in materia. Inoltre, non risponde al vero il fatto che la Regione Puglia, nell’ottica del contenimento della spesa, chieda ai clinici di prescrivere il biosimilare in tutti i pazienti, sia naive che già trattati. Infatti, nello stesso provvedimento regionale non c’è alcuna disposizione in merito alla scelta del biosimilare piuttosto che del farmaco biologico di riferimento per i pazienti già in trattamento, per i quali, piuttosto, si richiama la posizione dell’Agenzia Italiana del Farmaco(AIFA) e dell’Agenzia Europea EMA, circa la necessaria cautela nell’effettuare la sostituzione del farmaco originatore con il biosimilare”.
Inoltre, continuano, “l’eventuale risparmio economico che si vanta, in tal caso, ad oggi si aggira intorno a poche migliaia di euro e non certo ai 2- 300mila euro come sostenuto dal direttore dell’U.O di Pediatria degli OO.RR di Foggia”. “E’ indubbio – precisano – che i biosimilari rappresentano ad oggi un’opportunità terapeutica di indiscusso valore nel panorama sanitario. Non soltanto siamo in presenza di farmaci che hanno dimostrato una sostanziale similitudine in termini di efficacia e sicurezza rispetto al farmaco biotecnologico originatore, ma soprattutto i biosimilari rappresentano un’opportunità di notevole risparmio nel mondo, contribuendo alla sostenibilità del sistema. Ecco quindi che il provvedimento della Regione Puglia si inquadra in un’ottica di contenimento della spesa pubblica, già perseguita da altre Regioni italiane nonché da altre Nazioni. In particolare, il biosimilare in questione è presente sul mercato italiano già dal 2007 ed è utilizzato in tutto il mondo. Attualmente sono circa 36mila i bambini trattati in Europa con tale farmaco. Nella sola Asl di Foggia risultano in trattamento da anni svariati bambini e, ad oggi, non è stata mai segnalata la comparsa di reazioni avverse, né tantomeno sono pervenute segnalazioni di una minore efficacia del biosimilare. Ciò che appare sconcertante è il notevole clamore scaturito da tutta la vicenda e soprattutto preoccupa l’allarme sociale delle famiglie coinvolte. Infatti – concludono -, se da un lato ci sono famiglie che potrebbero essere convinte, pur probabilmente in mancanza delle necessarie competenze cliniche, a non utilizzare il biosimilare, ce ne sono altre che invece vorrebbero iniziare al più presto la terapia anche con il farmaco biosimilare, ma che non possono ritirarlo poiché non viene loro rilasciato il piano terapeutico indispensabile per la fornitura”.