Èstato un successo di partecipazione e argomenti il Convegno nazionale celebrato a Foggia dall’UGCI Unione Giuristi Cattolici Italiani tutto dedicato al tema della sanzione da declinare in una tre giorni di studio nei vari ambiti del diritto. Tanti gli applausi per Antonio Buccaro, presidente della Prima Sezione Civile presso il Tribunale di Foggia e consigliere centrale dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani.
Sabato in Camera di Commercio il convegno ha avuto importanti relatori, si è parlato della sanzione nel diritto tributario e di come il tributo vada sentito su di sé per sentire il peso negativo per la collettività dell’evasione fiscale.
L’obiettivo di riparto non va visto come ripartizione della ricchezza ma della spesa affinché ottemperare al dovere diventi vigilanza rispetto ad una effettiva solidarietà nella comunità. Il professor Luciano Eusebi dell’Università Cattolica di Milano ha ripercorso il concetto di sanzione e pena, citando più volte Cesare Beccaria.
“Giustizia non è misurare l’altro secondo le sue condizioni sociali e personali. Giustizia è agire in modo che vengano tolti di mezzo gli ostacoli che non consentono la vera uguaglianza. Se c’è una cosa che non riusciamo ad accettare è il dono. Se il modello è quello per cui occorre reperire nell’altro una negatività che giustifichi un agire contro di lui lo troveremo sempre. La pena giusta è stata teorizzata allo stesso modo della guerra giusta. La giustizia corrispettiva non funziona neppure dal punto di vista preventivo. Occorre fare prevenzione primaria, se non vogliamo la criminalità organizzata dovremo pure superare i paradisi fiscali. Purtroppo la legislazione penale non si fa per ragioni preventive ma per ragioni di consenso elettorale. Qual è il modello di prevenzione?
Quello che percepisce l’uomo della strada ossia quello intimidativo e neutralizzativo, ma il reato non è mai un calcolo di costo beneficio. Già Beccaria insegnava che se la gran parte dei reati venissero scoperti non ci sarebbe bisogno di pene elevate, ma la percentuale di impunità per singolo reato è elevata”.
A che serve la pena? Il docente di diritto penale ha citato gli oltre 1000 tentati suicidi nelle carceri italiane all’anno. “La prevenzione vera si gioca su motivi motivazionali con la giustizia riparativa e l’esecuzione della pena esterna”.
Ha tenuto tutti incollati alle sedie e col fiato sospeso la relazione di Giuseppe Gatti procuratore della Direzione nazionale antimafia, grande oratore esperto delle mafie pugliesi. Gatti ha parlato di due sanzioni contrapposte e inversamente proporzionali nei riguardi dei pentiti: quella dello Stato e quella dell’organizzazione mafiosa.
“I meccanismi sanzionatori dello Stato nei confronti dell’associazione mafiosa di fronte alla scelta collaborativa operano in maniera assolutamente contrapposta – ha detto in esordio -. La scelta collaborativa dallo Stato è vista in modo assolutamente positivo, certamente resta la sanzione penale per i reati commessi, ma viene ridotta in maniera significativa l’entità della pena e vengono profondamente mitigate le modalità obbligative sia dell’intervento cautelare sia dell’esecuzione della pena. Le sanzioni statali rispuntano soltanto quando su quella scelta collaborativa emergono dei profili patologici genetici o funzionali. Quando quella scelta collaborativa non era genuina, quando è stata strumentalizzata oppure quando è venuta meno ed addirittura il soggetto si è ricollocato nelle maglie della criminalità organizzata. In questi casi torna il tema della sanzione in relazione alla posizione del collaboratore di giustizia. La risposta dello Stato è giustamente forte: è prevista la reformatio in peius della sentenza che ha riconosciuto i benefici della collaborazione. Insieme alla revocazione della sentenza, c’è anche la revoca dei benefici penitenziari e del programma di prevenzione. Inoltre per il reato di calunnia, la calunnia del collaboratore, c’è una aggravante che aumenta la pena. È un modello dunque sanzionatorio che entra quando la scelta collaborativa viene meno o non era genuina”.
Nel sistema mafioso è proprio il contrario, la scelta collaborativa viene riconosciuta come la violazione più grave del codice comportamentale. Rappresenta cioè, ha rimarcato Gatti, la violazione del dovere di omertà, che è sostanzialmente il primo comandamento della regolamentazione mafiosa.
“Il collaboratore si macchia del delitto di infamità, inteso come violazione del dovere. Il dovere di omertà nella storia della mafia foggiana segna passaggi importanti. Ad un certo punto questo dovere di omertà è stato violato da Giuseppe Rogoli, la mafia foggiana nasce nel 1986 quando Rogoli decide di parlare con i giudici e difendersi e dice che quella che stava nascendo la Sacra Corona Unita non era una mafia ma una associazione di mutuo soccorso per difendere i detenuti pugliesi dalle angherie dei camorristi. I giudici gli credono e in quel caso nel processo non regge l’accusa di associazione mafiosa. Ma Pinuccio Rogoli si delegittima perché ha violato il dovere di omertà e da quel momento in poi la mafia barese e la mafia foggiana prendono le distanze. Addirittura nel 1986 mentre l’allontanamento dei mafiosi baresi avviene per le vie diplomatiche, nella dimensione foggiana c’è una strage, la strage del Bacardi che segna questa presa di distanza. Il delitto di infamità, il collaboratore si macchia del delitto di infamità e la sanzione mafiosa è massima, quella della morte, dell’isolamento, dell’annientamento. La forza della sanzione mafiosa è direttamente proporzionale a due fattori: l’intensità del vincolo associativo e l’intensità della capacità intimidatoria. Ci sono due momenti: quanto è forte questo vincolo, quanto è forte questo metodo, tanto la sanzione mafiosa avrà una deterrenza massima sulla posizione del collaboratore di giustizia. Nel Foggiano per tanto tempo non abbiamo avuto collaboratori di giustizia, negli stessi anni a Bari avevamo oltre 200 collaboratori di giustizia. Fino al 2017 a Foggia non abbiamo avuto nessuno, questo fa capire quanto la sanzione mafiosa avesse la sua efficacia. I due elementi che rendono effettiva la sanzione sono il vincolo associativo e l’intimidazione. A Foggia il vincolo di mafia e il vincolo di famiglia sono purtroppo facce di un’unica medaglia, le mafie foggiane hanno rinunciato alle affiliazioni ed è stata una scelta strategica perché l’affiliazione nel momento in cui un soggetto decide di collaborare con la giustizia diventa uno straordinario strumento di prova rappresentativa diretta dell’appartenenza. Rinunciare all’affiliazione significa rendere molto complicato il lavoro degli inquirenti perché dovranno provare quella partecipazione associativa come comportamento concludente. Rinunciare all’affiliazione significa rinunciare a sacralizzare un vincolo e a renderlo indissolubile, è un rischio grosso. Ma a Foggia le mafie se lo sono potuto permettere”.