Finisce un’epoca rossa a Manfredonia, la vecchia città partito. Si schianta il Fattore M e un’intera generazione di politici, nati sotto l’egida dell’allora parlamentare Franco Mastroluca, comincia ad ultimare la sua stagione nelle istituzioni. È iniziato il viale del tramonto, nel segno dell’alternanza.
103 voti li separavano al primo turno, ma al ballottaggio l’usato sicuro dell’ex sindaco, amministrativista e artista, Gaetano Prencipe, il suo garbo e la sua mitezza apparente, pur con la sfilata finale del Governatore Michele Emiliano, non hanno recuperato l’ampio mondo di centrosinistra che si era frastagliato in più candidati, laddove invece Gianni Rotice, grazie alle tre liste civiche staccatesi da Raffaele Fatone e sopratutto agli ex dem arrabbiati Libero Guerra e Tonino Prencipe, ha allargato la base del suo consenso. Al primo turno 7.529 preferenze per l’avvocato pari al 26,24% e 7426 consensi per l’ex numero uno di Confindustria Foggia. Al secondo turno solo 8.996 voti per Prencipe e ben 11.545 per Rotice.
Si sono lavati le mani, nell’astensione, i pentastellati e i simpatizzanti di Giulia Fresca, in una neutralità che ha favorito l’ex numero uno di Confindustria Foggia, sostenuto da Giandiego Gatta e dalle neo destre sovraniste. Il peso dei due outsider, il giovane pentastellato Fatone, che aveva totalizzato 5495 voti pari al 19,15% e la cosentina “figlia dell’Enichem” con le sue 4882 preferenze pari al 17,02% si è riversato sull’edile.
Se si considera che nel 2015 Angelo Riccardi vinse al primo turno con 18.317 preferenze pari al 57%, senza avere bisogno dei grillini, e il Pd ebbe da solo 8.611 voti – circa 1100 in più di tutta la coalizione progressista di Prencipe – il 7 novembre mentre nel 2015 tutte le liste di Riccardi valevano 22.100 voti, si comprende bene che di consensi per strada il legale non ne ha recuperato nessuno. Anzi li ha addirittura persi, perché più di un candidato della sua coalizione già eletto in consiglio è venuto meno, com’è naturale che sia quando non è in ballo la elezione.
“Si è coagulata tutta la frustrazione degli esclusi dal Pd”, osserva qualche emilianista. “Il Pd non vince se non si allea con il M5S. Per allearsi o si accettano le condizioni del M5S o sono destinati a consegnare le città agli avversari e la colpa è solo loro”, dice un grillino tra i denti, ricordando come il Pd di Paolo Campo e Michele Bordo abbia negato con tutta la sua forza che il candidato fosse una personalità estranea al partito e che fosse un grillino. Era Prencipe l’uomo giusto? Facile dirlo ora, ma a molti era già apparso evidente come una vecchia gloria non potesse riaccendere l’entusiasmo di una città che chiedeva cambiamento, discontinuità, giovinezza e un nuovo stile, più rampante.
“Abbiamo voluto mantenere una posizione netta e neutrale, in quanto solo i cittadini dovevano decidere del loro futuro, noi ora vigileremo affinché al centro dell’amministrazione ci sia solo il bene pubblico e faremo un’opposizione leale ma senza sconti”, ha dichiarato Fatone.
Nel mezzo resta l’equivoco di Angelo Riccardi, tramutato dai suoi ex compagni come unico capro espiatorio dello scioglimento per mafia. L’esclusione di CON, che comunque porta in Consiglio la candidata sindaca Maria Teresa Valente, non ha aiutato Prencipe a sembrare diverso da quel che era.
Non fanno dichiarazioni i pentastellati di vertice, da Mario Furore all’assessora Rosa Barone. Pur non condividendo la posizione di Fatone, in netta contrapposizione rispetto al lavoro nazionale di Giuseppe Conte e Roberto Fico, nessuno ritiene che il risultato di ieri possa avere indebolito la leadership di Barone in Capitanata e soprattutto il suo ruolo di amministratrice in Regione Puglia.