Mentre continua la caccia agli ultimi tre evasi dal carcere di Foggia, i familiari dei detenuti hanno scritto alcune lettere molto dure su quanto sarebbe accaduto dopo la sommossa del 9 marzo scorso.
Una delle missive è firmata dal sanseverese Angelo Testa, figlio di un uomo detenuto nel carcere di Melfi. “A quanto ne dicono i giornali e la procura – scrive – è ritenuto noto elemento di spicco della criminalità locale, per me è semplicemente mio padre, il nonno di mio figlio, un marito amorevole e un cittadino italiano. Oggi, attraverso questa lettera, voglio lanciare un messaggio rivolto a tutti, alla polizia penitenziaria, alla procura, ai magistrati, a quanti più mi possano sentire. Voglio parlarvi di una storia vera, di cui nessun giornale ha parlato. Torniamo ai giorni della rivolta, quando i detenuti di tutta Italia si sono ribellati a causa della sospensione dei colloqui per l’emergenza sanitaria e per le scarse condizioni igieniche delle strutture. Parte di loro non aveva partecipato alla rivolta, così come mio padre, essendo in età avanzata e per nulla amante degli scontri e della violenza. Eppure lui, insieme ad altri 71 uomini, sono stati portati via con pigiama e ciabatte senza neanche avere la possibilità di portare i propri vestiti. Attualmente sono stati trasferiti presso altre strutture”.
La lettera fa riferimento anche a presunti atteggiamenti aggressivi nei confronti dei ristretti trasferiti.
“Oggi sono arrabbiato, mi chiedo – continua Testa – come sia possibile che tutto questo avvenga nel silenzio più assordante, nessun servizio al telegiornale, nessun articolo, nessuno che ne stia parlando. Da due giorni non ho notizie di mio padre, so soltanto che è stato trasferito a 780 chilometri da casa sua, a Palermo nell’Istituto penitenziario “Pagliarelli”, so che è arrivato la sera del 17 marzo, ma non conosco le sue condizioni di salute, non so se sta bene, non ho possibilità di telefonargli e neanche il nostro legale riesce a mettersi in contatto con lui. Condanno fortemente i gesti di rivolta che ho visto in televisione. Volevano farsi sentire, ma ho disprezzato la piega violenta della situazione. I detenuti non sono tutti dei mostri, mio padre è in attesa di processo, se ha delle colpe pagherà, ma tutto quello che ho letto riguardo i disordini so che non gli appartiene. Ma perché, mi chiedo, perché ancora una volta non si fa più distinzione? I detenuti hanno delle colpe ma sono esseri umani, qui fuori ci sono delle famiglie che soffrono lentamente aspettando il loro ritorno. Perché a causa dei soggetti che hanno causato la rivolta devono pagare tutti? Perché i giornali non parlano di quello che hanno fatto la notte del 16 marzo nel carcere di Melfi? Perché state vietando di far chiamare il detenuto a casa dopo due giorni dal trasferimento?
Sono arrabbiato, mia madre è malata, sta vivendo una situazione altrettanto drammatica e non è nelle condizioni per poter affrontare il viaggio per arrivare a Palermo, complice anche il momento delicato che in Italia stiamo subendo per via del coronavirus. In questo momento si accontenterebbe anche di una semplice telefonata che la possa rassicurare. Lo Stato ha il dovere di intervenire, di darci risposte, di condannare coloro i quali hanno commesso crimini in quelle celle e questa volta non parlo dei detenuti. Ci batteremo, anche con l’aiuto dei nostri legali perché siamo stanchi di subire. Non pretendiamo la liberazione perché essa non è la libertà; si esce dal carcere ma non dalla condanna. Niente potrà cancellare quello che ci sta accadendo. Vogliamo risposte!”.
Nelle scorse ore, nelle redazioni, è giunta anche un’altra lettera di familiari di persone recluse fino ad una settimana fa nel carcere di Foggia. “Quello che chiediamo – scrivono nella missiva firmata ‘I familiari dei detenuti di Foggia’ – è solo ascolto, proveremo ogni tentativo per dare voce alle nostre paure, alle nostre preoccupazioni ma soprattutto ai nostri diritti”. “Premettiamo – proseguono – che chi sbaglia paga e non giustifichiamo quello che i nostri parenti detenuti hanno fatto. Ora la cosa che più ci sta facendo soffrire e di cui vogliamo fare chiarezza è la questione dei trasferimenti del 12 marzo. A distanza di una settimana, molti di noi non hanno notizie dei propri familiari, molti non hanno ricevuto gli indumenti e addirittura molti sarebbero stati messi in isolamento senza la possibilità di comunicare con la propria famiglia”.
I familiari segnalano “testimonianze da brividi”. La mattina dei trasferimenti, i detenuti sarebbero stati trasportati “con pigiami e scalzi, senza l’opportunità di potersi mettere una tuta e un paio di scarpe”, prelevati “alle 4 di notte e trasferiti”.
Per i familiari, “chi ha sbagliato va punito dalla legge non dalla violenza. Quello che chiediamo è che venga fatta luce su questa storia, i detenuti sono esseri umani, con dei diritti. Ora in una situazione di emergenza a causa del coronavirus che ci fa molta paura, sapere che i nostri mariti, figli, fratelli hanno subito tutto ciò ci fa solo gridare aiuto. Dateci ascolto”.
Le associazioni Yairaiha Onlus, Bianca Guidetti Serra, Osservatorio Repressione, Legal Team Italia, attive nella difesa dei diritti dei detenuti alla salute e all’incolumità hanno messo a disposizione un indirizzo unico per ricevere segnalazioni in merito all’attuale situazione igienico sanitaria nelle carceri, ed in particolare alle reali misure di prevenzione adottate a fronte dell’estendersi dell’epidemia di Covid-19. A tale indirizzo mail si possono segnalare abusi e trattamenti inumani e degradanti nei confronti dei detenuti, in particolare a seguito delle rivolte carcerarie dei giorni scorsi, e richiedere la relativa assistenza legale.
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