Una lettera piena di indignazione e tristezza. La mamma di una 17enne, aggredita alle 8:15 in pieno centro a Foggia, nel giorno di San Valentino, racconta il dolore e la difficoltà di rispondere alle aspettative della figlia in una città in cui “non c’è più orario e luogo sicuro per uscire”. Ecco le sue parole:
Gentile direttore,
sono la madre di una ragazzina di 17 anni che nella mattina di ieri, 14 febbraio, proprio in quella che la nostra cultura celebra come la Festa degli Innamorati, ha subito una tentata aggressione a pochi passi dalla sua scuola.
Erano le 8.15 circa e mia figlia, a passo rapido e con un pesante zaino in spalla, si stava dirigendo in piazza Italia, per raggiungere il Liceo classico Vincenzo Lanza, dove di lì a poco avrebbe dovuto sostenere un’interrogazione di arte per cui si era preparata con grandissimo impegno.
All’altezza di via Zara angolo via Pinerolo, mia figlia (che per comodità proteggerò indicandola con il nome fittizio di Giulia), ha sentito un frettoloso rumore di passi e, prima che avesse il tempo di pensare, è stata raggiunta da una mano di uomo alle sue spalle che, stringendola con forza e tappandole la bocca, le ordinava di stare zitta.
Nel tentativo di svincolarsi, Giulia è riuscita a distinguere due figure di 30enni, alti e forti, il cui sguardo esprimeva bruttissime intenzioni, che hanno suscitato in lei, per quanto esile e delicata, un’immediata ed efficace reazione.
Chissà grazie a quale miracolo, la ragazzina ha avuto la prontezza di usare il pesantissimo zaino che conteneva il materiale necessario a sostenere l’interrogazione di arte, per mettere in atto la sua difesa. Si è divincolata con uno strattone all’indietro, che ha trovato nello zaino un contrappeso, e con l’aggiunta di una gomitata è riuscita a liberarsi, fuggendo a gambe levate alla volta del suo Liceo, in cui si è infilata con le mani tremanti e il cuore in subbuglio.
Una volta raggiunti la classe e il personale docente, che l’ha aiutata e sostenuta nel migliore dei modi, Giulia ha poi allertato la sua famiglia, che, senza battere ciglio, ha provveduto a sporgere immediata denuncia.
In questo caso tutto è andato bene. I due energumeni trentenni che, in due, hanno attentato ad una diciassettenne, non hanno forse ritenuto prudente rincorrerla. E grazie alla prontezza delle sue gambe levate, non è accaduto nulla di terribile.
Ora da genitore mi domando: se Giulia è stata aggredita in pieno giorno, alle 8.15 di mattina, mentre con un giubbotto ed un larghissimo paio di jeans si recava a scuola, sotto le telecamere, a 5 metri dalla caserma della polizia, a pochi passi dai carabinieri, sotto l’università e vicinissimo ad una scuola elementare, significa che non c’è più luogo e orario sicuro in questa città.
Mia figlia ha dovuto impararlo a sue spese. Ed ha dovuto imparare che oltre alla paura per l’interrogazione, ogni giorno, andando a scuola, c’è una paura ben più grande da affrontare, quella della criminalità, in questo caso microcriminalità, che quotidianamente attenta alla sua sicurezza e alla sua spensieratezza da diciasettenne.
«Peccato! Mi ero preparata benissimo per arte!», ha esclamato Giulia nelle ore successive, una volta che si è sentita al sicuro con la sua famiglia.
Già, l’interrogazione.
Quell’interrogazione che dovrebbe essere la sua unica preoccupazione giornaliera e che, una volta ridimensionato lo spavento (possibile grazie all’amore da cui è circondata) è ritornata ad essere la sua preoccupazione principale.
Ma se non fosse andata così? Se un’altra ragazzina fosse meno agile a fuggire o sprovvista di un grosso zaino utile, in questo caso, a causare un contraccolpo all’aggressore?
Ai timori del sabato sera in strada, per la nostra famiglia, si è aggiunto il timore delle otto e un quarto di mattina. L’orario in cui Giulia, insieme a migliaia di coetanei, affolla le strade della città per raggiungere il luogo che la sta formando come cittadina competente e colta, insegnandole il Greco, il Latino ed i Diritti. Primo fra tutti il diritto di uscire di casa in sicurezza.
E noi adulti, come le rispondiamo ora? Come teniamo insieme il bisogno di sentirsi al sicuro con quello di essere libera?
So che lei non potrà rispondermi.
Sogno comunque che a queste mie domande (che non sono solo personali ma collettive) noi cittadini pretendessimo risposte certe con forza sempre maggiore.
Grazie per il suo spazio e della sua attenzione
Una mamma
Testimonianza raccolta da Modesta Raimondi