Le inchieste di Marta Fana sul Jobs Act e la sua lettera al ministro Poletti, condivise da migliaia e migliaia di lettori, hanno portato alla luce la condizione del lavoro in Italia, imponendola all’attenzione pubblica come voce di un’intera generazione. Se n’è parlato da Ubik a Foggia con l’autrice del fortunato libro “Non è lavoro è sfruttamento”, con il professore e giuslavorista Marco Barbieri e Gemma Pacella.
Contratto di lavoro intermittente, dove si scambiano due corse. Il ricatto del bisogno schiaccia le persone e le rende illimitatamente disponibili per le esigenze altrui. Difficoltà a vivere il futuro. Tantissimi i temi al centro della campagna elettorale di Liberi e Uguali.
“È un titolo tautologico, non abbiamo più abbastanza coraggio nel dire che siamo poveri perché non riusciamo a soddisfare l’autonomia sul consumo – ha detto Marta Fana davanti ad un pubblico assorto e numeroso -. Il libro non sconta dei luoghi comuni. Non si chiede più se ci pagano. In Italia di lavoro se ne parla poco o male”. Tutto inizia col pacchetto Treu.
“I caporali spesso sono i sindacalisti, lo raccontano i lavoratori che non rivendicano l’assalto al cielo ma gli stipendi arretrati. Chi vive dentro un magazzino è spesso un uomo immigrato, in balia di un pezzo della produzione esternalizzato come la logistica”. Fana ha parlato di SDA, TNT e il resto dell’oligopolio che col subappalto lavorano con cooperative spurie. Ha studiato molto il segmento della logistica.
Mense scolastiche, servizi, pulizie, contabilità e analisi.
Privatizzazione e demansionamento, questa è la trasformazione, avvenuta sotto gli occhi di tutti in Italia. Il lavoro gratuito è la cifra di quanto sia trasversale la normalizzazione degli stage e dell’alternanza scuola lavoro.
“Essere disoccupati è uno stigma sociale ed è colpa nostra. Gli immigrati che chiedono i documenti sono obbligati a lavorare gratis”. Il lavoro gratuito è ovunque, anche nel part time con straordinari non remunerati. C’è una specificità della trasformazione italiana, secondo la studiosa.
La Sharing economy è un grande strumento di valorizzazione della rendita, che fa il paio coi lavoretti mediati dall’algoritmo e dalle app, col controllo più serrato sul lavoratore. La vera innovazione sta solo nel cottimo, uscendo dal perimetro dalla subordinazione.
Si stanno spostando pezzi di costo dalle imprese ai lavoratori.
Magazzinaggio, turismo, riparazione auto. Questi i settori maggiormente “moderni”. Ma il prof Barbieri ha avvisato: “Non credete che questo non riguardi anche Foggia. Al GrandApulia il meccanismo conta persone penalizza i lavoratori. Stiamo parlando di un immenso settore di lavoro povero. I lavoratori sono responsabili del risultato. Noi non vediamo il lavoro degli altri, l’ideologia che ci permea non ci fa vedere il lavoro degli altri. Gli imprenditori non sono tutti uguali: persone serie, persone che si arrabbattano e delinquenti. Il sistema spinge a competere sul costo del lavoro. La frusta salariale è stata abolita, a medio termine significa affondare l’economia italiana”, ha osservato l’accademico.