Epilogo per il fatto di sangue più grave nella storia del “Gran Ghetto”. La Corte d’appello di Bari ha condannato a dieci anni di reclusione il 27enne ivoriano, Mariko Tahitov, confermando la sentenza di primo grado inflitta nell’aprile 2017 dal tribunale di Foggia. Accolte in pieno anche le richieste della procura dauna. Il giovane è ritenuto colpevole di omicidio volontario.
Il 27 luglio 2016, l’imputato uccise con una coltellata al fegato il 34enne maliano, Ibrahim Traore nel Gran Ghetto tra Foggia e San Severo, pochi mesi prima dello smantellamento. Quando i carabinieri arrivarono sul posto per arrestarlo dovettero salvarlo dal linciaggio. Inizialmente sembrava che l’assassino avesse reagito malamente perché Traore lo stava disturbando durante il pranzo. Ma in seconda battuta Tahitov spiegò di non aver mai conosciuto la vittima e di essersi difeso da un lancio di pietre di Traore nei suoi confronti.
La sentenza di primo grado vide uno sconto di pena in quanto fu riconosciuto che “la volontà di intendere e volere dell’imputato era già grandemente scemata all’epoca dei fatti”. A pena espiata, il giovane sarà assegnato per tre anni a una casa di cura con successiva espulsione dal territorio italiano.
I legali di Tahitov portarono avanti la tesi dell’eccesso colposo in legittima difesa puntando anche sull’incensuratezza di Tahitov e sui suoi presunti disagi mentali. In carcere, l’omicida incontrò in più occasioni Roberto Catanesi (noto per il caso Nadia Roccia), docente dell’università di Bari e ordinario di psicologia forense a cui chiese: “Vorrei trovare un lavoro qui in carcere, la pornostar. Lei mi può aiutare?”. Dalla perizia sul cittadino africano emerse che il giovane era affetto da disturbo psicotico con una modesta dotazione intellettiva. All’epoca dei fatti aveva, per infermità, la capacità di intendere e volere già gravemente scemata. Considerato socialmente pericoloso, sarà necessaria la detenzione in una rems (ex ospedali psichiatrici) al termine dei 10 anni di reclusione.
La perizia psichiatrica fu chiesta a gran voce, fin dalle prime battute, dall’avvocato Margherita Matrella a causa dei continui scatti d’ira del 27enne che in carcere aggredì alcuni agenti di polizia penitenziaria. Il legale farà ricorso in Cassazione.