
Novità sull’inchiesta contro i poliziotti spioni. Accolta la richiesta di archiviazione per l’ex coordinatore delle Volanti di Foggia, Umberto Bronda, oggi ispettore a Manfredonia dove era stato trasferito a seguito dello scandalo. L’uomo – che apprese delle indagini da un articolo de l’Immediato – chiese di essere subito interrogato presso la Procura di Foggia per dimostrare la propria innocenza. Pochi giorni fa il gip ha accolto integralmente le istanze dell’uomo archiviando la sua posizione. Non sono emerse prove che lo coinvolgessero nel sistema illecito di intercettazioni. Stando all’accusa i poliziotti arrotondavano lo stipendio scovando i “coniugi infedeli”. Bronda fu accusato di accesso abusivo al sistema per dare informazioni sugli intestatari di alcune automobili. In realtà era ignaro del meccanismo fraudolento e non conosceva i soggetti coinvolti nelle indagini. Archiviata anche la posizione di Fortunata Procaccino, cancelliera del tribunale di Foggia che nelle intercettazioni chiedeva di pedinare il compagno. “Abbiamo sempre confidato nella giustizia – ha detto alla nostra testata Caterina Pipino, legale di Bronda -. Siamo soddisfatti dell’esito in quanto è emersa la totale innocenza del mio assistito, da sempre ritenuto una punta di diamante della polizia a Foggia. Basta ricordare il suo impegno contro la criminalità garganica e la sua nomina a coordinatore delle Volanti”.
Per tutte le altre persone coinvolte nelle indagini c’è invece una richiesta di rinvio a giudizio che sarà discussa il 16 marzo in udienza preliminare. Al centro dell’inchiesta Angelo Gabriele Savino (commissariato di Manfredonia), Alfredo De Concilio (squadra mobile di Napoli ma residente a Foggia), Paolo Alberto Ciccorelli (polizia postale di Foggia) e la guardia giurata Alfredo Cavallo, 47 anni di Foggia – secondo l’accusa con “specialità” pedinamenti.
Savino, agente del commissariato di Manfredonia, ritenuto uno dei perni del sistema, la scorsa estate incassò 6 anni di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali per una vecchia faccenda. A marzo rischia di incappare in un altro processo. È infatti lui il principale indagato dell’inchiesta che nella primavera del 2016 svelò una rete criminale, ben consolidata, con protagonisti uomini dello Stato. Agenti che si facevano pagare per controllare la vita privata di coniugi infedeli per poi spifferare le intercettazioni ai propri “clienti”. Il tutto per poche centinaia di euro.
Secondo l’accusa, Savino inseriva il numero di telefono delle persone da “controllare” al posto dell’utenza di reali indagati. “Un’associazione a delinquere – spiegava il gip nelle carte dell’inchiesta -, finalizzata alla commissione di una serie di delitti contro la persona e contro la pubblica amministrazione e, in particolare, accessi abusivi a sistemi informatici e telematici, intercettazioni telefoniche abusive, rivelazioni di segreti di ufficio e corruzione”. L’indagine fu affidata agli stessi colleghi degli agenti coinvolti proprio per dare un senso di responsabilità e mettere all’angolo le mele marce.