Stuprato in caserma da tre pugliesi (uno foggiano), parte inchiesta 35 anni dopo

Violentato da tre pugliesi al servizio militare. Uno di Foggia, gli altri due di Bitonto. Sono pesanti le rivelazioni di un 53enne piemontese, L.D., oggi assessore in un piccolo comune della sua regione, al Corriere della Sera. L’uomo, nel 1982, quando aveva appena 17 anni ed era stato assegnato al Reggimento Genio Trasmissioni dell’Esercito, sarebbe stato stuprato dai tre pugliesi e poi costretto a nascondere tutto perché indotto dai suoi superiori pur di difendere il buon nome della caserma Cecchignola di Roma. Prima le sevizie, poi l’omertà. Infine molti anni di terapia per uscire dal trauma. “Una lunga e provvidenziale psicoterapia”, l’ha definita lui stesso. Nelle ultime ore, sulla base delle dichiarazioni rese da L.D., la Procura militare di Roma, su iniziativa del capo, Marco De Paolis, ha aperto un’inchiesta. Il fascicolo contro ignoti si basa su due ipotesi di reato: concorso in lesioni personali aggravate e minaccia ad inferiore, ma potrebbero emergere anche altri capi d’imputazione. Già avviati gli accertamenti ed acquisita documentazione relativa alle matricole entrate nell’Esercito 35 anni fa. Convocate persone informate dei fatti. 

Ma ecco il racconto della vittima al Corsera“Ero appena rientrato dal primo congedo. Prima di addormentarmi nella camerata da sei, sentii che i miei compagni bisbigliavano e ridacchiavano… Non ci badai, non potevo immaginare. Uno si chiamava Giovanni ed era di Foggia, gli altri due di Bitonto. Miei coetanei, o poco più. Ma insieme si sentivano invincibili. Dovevano essere le due quando mi presero dal letto, mani e piedi… Io cercai di dimenarmi, di scappare in corridoio. Ma loro mi sbatterono la testa sul pavimento e persi una prima volta i sensi. Mi portarono nella lavanderia, sullo stesso piano, e abusarono di me. Poi scapparono, lasciandomi svenuto. Mi svegliai forse due ore dopo, completamente nudo. Il sangue usciva dappertutto. Dal naso, dalla bocca, da dietro. Un maresciallo mi coprì con la sua giacca, credevo di morire. Il capitano A. mi venne a trovare in infermeria e mi disse che, se avessi riferito l’accaduto, sarei stato congedato con demerito e non avrei avuto accesso ai concorsi. Io, ragazzino, terrorizzato, non ebbi scelta: accettai di mettere a verbale che al mio arrivo alla stazione Termini tre balordi mi avevano trascinato in un giardinetto e violentato. Ai miei genitori raccontai di essere caduto. Provavo una vergogna che non mi ha mai abbandonato e mi ha rovinato la vita. Solo in tempi recenti sono riuscito a liberarmi dei miei fantasmi”.

“Nelle caserme italiane – ha poi aggiunto -, anche se meno che in passato, fatti del genere possono ancora succedere. Voglio esortare le vittime, i ragazzi che oggi hanno l’età che avevo io, a non farsi schiacciare dal silenzio”. Il tenente T., a fine corso, lo prese da parte e gli disse: “Scusami, con te siamo stati dei codardi”. “Un commilitone, al momento di congedarsi, mi lasciò un biglietto sotto il cuscino. Si chiamava Giorgio: ‘Sii forte. Ciao’, mi scrisse. Per anni l’ho tenuto nel portafoglio, l’ho buttato solo di recente”. 



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