Un tocco di classe (e tranquillità) nella “Terra di Mezzo” di Manfredonia. Il successo di Serendipity

Matteo e Chiara
Matteo e Chiara

Quando l’hobbit Bilbo decide di lasciare il suo rifugio nella Contea, lo fa sotto richiamo di imprevedibili avventure, ma soprattutto spinto da un amico che è, non a caso, un mago. Diversa è la scelta di Matteo Robustella e Chiara de Luca, che circa un anno fa (luglio 2014) stabiliscono la sede della loro attività in un “buco”, e addirittura lo arredano. Nasce in questo modo Serendipity (letteralmente: scoperta di qualcosa di inatteso che non ha nulla a che vedere con quanto ci si proponeva di trovare), dove i gestori, anziché andarsene a zonzo con nani e draghi (e a Manfredonia la tentazione è forte), cercano di portare un po’ di mondo nel loro rifugio.

Non ci sono tesori nella tana dei due ragazzi, l’arredo è sobrio, alle pareti scaffali di libri e birre artigianali. In esposizione, prodotti freschi, tisane del mercato equo e solidale, cioccolata biologica. Con l’aggiunta del chilometro zero e qualche contatto con la masseria didattica a Bosco Quarto, Tolleranza Zero e Traccia Nascosta, Matteo e Chiara invitano a trascorrere il tempo con loro ogni genere di popolazione che possa abitare la Capitanata, purché sappia proporsi in forma d’arte: fotografi, pittori, musicisti (rigorosamente non di cover), fumettisti e scrittori, sfiorando i 100 eventi in un anno (uno alla settimana). Fanno poca rete con il resto della provincia (ma vogliono allargarla), si occupano personalmente della gestione del locale e della selezione degli artisti. Scelgono il verde a sfondo del locale, e offrono tranquillità e silenzio agli ospiti, soprattutto ragazzi, durante l’inverno. Disinteressati alla politica, lamentano qualche invidia, qui e là.

L’arte di de Troia

L'artista de Troia al serendipity
L’artista de Troia al Serendipity

Sarà a causa di un contrasto che la mostra di Giacomo de Troia, conclusasi a fine agosto, suscita interesse. In effetti, non hanno molto a che fare con l’atmosfera tranquilla di Serendipity le ambientazioni urbane dell’artista lucerino. Soprattutto quando espone l’alienazione dei suoi “oboli” mediante spigolature cromatiche, o riduce ad archetipi gli esseri umani in cerca di contatto attraverso una costante dualità, che si tratti di contrapposizione (in opere come “Il confronto”) o di affiancamento (come ne “La giostra”).

Nel corso di una intervista alla nostra testata, Giacomo de Troia definisce l’arte come un momento di introspezione legato ad uno stato d’animo, e alieno al mondo del superfluo, delle mode. Ricorda la difficoltà nell’accettare la propria professione, riconoscendo nell’unico strumento a disposizione dell’artista il cavalletto. “Identifico come teatro vero il circo, dove gli artisti non riescono a fingere. Il Romanticismo ha visto la sua fine quando i rapporti umani hanno cessato di esistere”. Ricorda le sue esperienze a Parigi e Milano e, ad eccezione di spazi espositivi come i collettivi, prosegue riconoscendo alla provincia di Foggia una chiusura non riscontrabile altrove, individuando nella posizione della Capitanata, lontana dal brusio culturale salentino ma anche dai sogni imprenditoriali del barese, una causa del rallentamento.

[wzslider autoplay=”true” info=”true” lightbox=”true”]

Ok l’esposizione manfredoniana

Nei quadri di de Troia, in mostra fino al 31 agosto, la mano, e per estensione il braccio, è il responsabile del “fare”. Tuttavia è nelle gambe che l’autore ripone ogni gesto di irrequietezza, quando le lascia nude e veste il resto del corpo nell’ “Incontro”, innesca il movimento nel ginocchio del cameriere di “Luoghi Comuni” o contorce gli arti inferiori nella donna della “Metamorfosi”. A cercare una via di fuga dalla realtà, o a testimoniare una presenza. E nelle forme (che ricordano vagamente la prima Tamara de Lempicka) non trova il coraggio di scomporsi in cubismo, limitandosi a descrivere la condizione umana attraverso la ripetizione della medesima, sognante espressione di tristezza.

Apprezzata l’attualità dei temi trattati: il predominio del denaro e del potere in opere come “I nuovi Cesari”, l’assenza di nuovi messaggi del “Natale Day”, l’atrofia del mondo tecnologizzato, e invece il richiamo costante del mondo esterno (popolato più densamente in secondo che in primo piano) nelle tele a sfondo sociale.

La ricerca della serenità

Sia i gestori alla ricerca di novità che gli artisti sono costretti a confrontarsi col pubblico, sviluppando attitudini differenti. Il riserbo degli ospitanti e l’attitudine ad esporre dell’artista rivelano però una linea comune: la ricerca della serenità a dispetto della forzatura a vivere “fuori dalle tenebre”, e osservando la complessità di un de Troia, riesce quasi difficile tornare indietro al mondo della tradizione fatta di crostate e succhi al mirtillo. Se però ci fosse una guerra (ideologica), sarebbero i pittori, i compositori e i musici con la voglia di uscire a conoscere il mondo ad avere la meglio. Del resto, se fuori ci fosse una guerra e si trattasse di nascondersi agli occhi degli altri, gli hobbit sarebbero i migliori a saperlo fare. Chi vive nella Terra di Mezzo, lo sa.