Regge al Tribunale del Riesame l’impianto accusatorio nei confronti di Michele Fatone detto “Racastill”, 63enne di Manfredonia arrestato nell’operazione “Giù le mani”. L’uomo, difeso dall’avvocato Matteo Ciociola, deve restare in carcere. Confermati i domiciliari al figlio 32enne, Raffaele.
I due, dipendenti dell’azienda Ase di Manfredonia, società che si occupa di servizi ecologici, sono accusati di una serie di reati. Secondo l’impianto accusatorio, i Fatone spadroneggiavano all’interno dell’azienda municipalizzata, dettando legge e costringendo i lavoratori a soddisfare le loro esigenze, compreso quella di andare a svolgere lavori nel fondo agricolo della moglie di Michele Fatone con mezzi e prodotti della ditta pubblica. Inoltre, i “Racastill” avrebbero picchiato il responsabile del personale Domenico Manzella perché voleva disporre un cambio turno a Raffaele. In buona sostanza, nonostante lo scioglimento per mafia del Comune di Manfredonia nel 2019 e i riferimenti alla famiglia Fatone nella relazione dei commissari, nulla era cambiato in Ase.
Il filone di “Giù le mani” riguardante i Fatone sembra quello più solido dal punto di vista dell’accusa. Si sono invece affievolite le misure cautelari per Michele Romito, passato dal carcere ai domiciliari, per Grazia Romito (sorella di Michele) alla quale sono stati revocati i domiciliari e per Luigi Rotolo a cui è stato tolto il divieto di dimora. Ha convinto il lungo interrogatorio di Michele Romito che ha ricostruito tutta la battaglia legale per il ristorante “Guarda che Luna” e i rapporti con l’ex assessore ai Lavori Pubblici, Angelo Salvemini, quest’ultimo ai domiciliari. Il politico non si è sottoposto al Riesame così come l’ex segretaria comunale, Giuliana Galantino.
I Fatone nelle carte dell’inchiesta
“lo sono stato costretto da Michele Fatone ad effettuare, dal 2015 fino al 2021 compreso, i trattamenti di disinfestazione, diserbo chimico e meccanico presso la sua campagna – ha spiegato agli inquirenti uno dei dipendenti Ase -. Mi diceva: ‘Oggi devi andare a fare lavori alla mia campagna’, ed io non sentivo di potermi rifiutare”.
“Tale situazione – si legge nell’ordinanza della gip – era legata al fatto che da quando Michele Fatone è diventato unico coordinatore all’interno dell’azienda, ha progressivamente preso potere ed assunto credito agli occhi dei dirigenti“. In buona sostanza ha persino scalato gerarchie nonostante fosse citato nella relazione di scioglimento per mafia del Comune di Manfredonia. Michele Fatone viene descritto come un uomo che “incuteva terrore”. Avrebbe anche minacciato il manager Raphael Rossi, all’epoca amministratore di Ase, “colpevole” di averlo dirottato ad altra mansione: “Grazie Rossi, te la farò pagare”.
Nelle carte spuntano anche ammissioni rispetto all’aggressione a Manzella: “Gli abbiamo rotto il muso”, le parole di Michele Fatone. Poi lui e il figlio incontrarono un altro dipendente “al quale – si legge – riferivano di aver aggredito Manzella e confidavano i dettagli dell’aggressione; inoltre i due manifestavano la volontà di voler acquisire informazioni tramite un familiare, dipendente della Sanitaservice, in merito all’accesso di Manzella al pronto soccorso, valutando l’opportunità di far minacciare la vittima da qualcuno affinché non sporgesse querela”.